Dopo tre trimestri consecutivi in cui Gucci ha mostrato un calo dei ricavi, sul web ci si interroga in merito alla strategia adottata da Kering per il suo principale business. Criticate le politiche di prezzo e la capacità di innovare.
Il rallentamento della Cina, la crisi dei consumi in Europa, l'euro forte. E poi i conflitti in Medio Oriente e Ucraina. E le conseguenti tensioni fra Europa e Russia. Sono tutti fattori che non hanno risparmiato il lusso ma Gucci sembra soffrire più di altri concorrenti, dopo un 2013 già difficile (-2,1% il trend delle vendite).
Nel terzo trimestre 2014 il gruppo ha totalizzato 851 milioni di euro di ricavi, in calo dell'1,6% rispetto allo stesso periodo del 2013. Contrazione che segue il -5,7% del secondo quarter e il -3,2% dei primi tre mesi dell'esercizio. Il risultato è un bilancio a nove mesi dove il fatturato è sceso del 3,5% a 2,5 miliardi di euro. Alla pubblicazione dei risultati, il management ha parlato di buone performance per i leather goods, sostenute dal lancio delle nuove linee di borse Swing e Bright Diamante.
Oggi però i grandi brand devono contrastare la concorrenza di marchi di minori dimensioni che stanno catturando l'attenzione persino di consumatori più "acerbi" come quelli cinesi. «Credo che per alcuni marchi ci siano una saturazione e un problema di 'stanchezza', in mercati come l'Asia», ha dichiarato a Reuters Shilla Huangsun di Julius Baer Luxury Brands Fund. Come riporta l'agenzia di stampa, alcuni analisti e investitori pensano che il marchio delle due G abbia eliminato troppi prodotti nel segmento "accessibile" e che abbia alzato troppo i prezzi, in media. Gli esperti lamentano anche lo scarso livello di innovazione, che influisce sulla desiderabilità del marchio e, alla fine, anche sul sentiment degli investitori e sulle prospettive di crescita.
«Non si può semplicemente rilanciare le icone del passato. Bisogna fare leva anche sull'innovazione», ha affermato Luca Solca di Exane Bnp Paribas, citando i successi di Hedi Slimane per Saint Laurent (altro marchio di proprietà di Kering). «I consumatori hanno fame di creatività ed esclusività - ha commentato Serge Carreira dell'Institut d'études politique di Parigi -. Se si confronta con Chanel, Dior o Louis Vuitton, Gucci è il marchio che sorprende meno».
Nel fashion system c'è chi, secondo Reuters, pensa che Gucci dovrebbe riconquistare l'allure e la "fashion authority" conquistata ai tempi in cui al timone c'era Domenico de Sole e il designer era Tom Ford. «Si è perso qualcosa di speciale quando Tom se ne è andato», ha detto Tamara Mellon, fautrice del successo globale del marchio di calzature Jimmy Choo.
Quanto alla questione del pricing, la griffe fiorentina attualmente guidata da Patrizio di Marco, e con Frida Giannini nel ruolo di direttore creativo, sarebbe penalizzata dal fatto che negli ultimi quattro-cinque anni ha alzato i prezzi di oltre il 40%. Una strategia che ha influito negativamente sul trend di luxury brand come Mulberry e Lancel, e di cui si starebbero avvantaggiando altri, più accessibili, come Michael Kors e Longchamp.
Come emerso nei giorni scorsi dal Wall Street Journal, secondo la società di consulenza Sanford C.Bernstein, Gucci non avrebbe invece incrementato adeguatamente la produzione di prodotti esclusivi nella fascia alta di prezzi (tra 2.500 e 4.500 euro), che servirebbe ad attrarre i big spender.
Sotto accusa pure la "ripulitura" del network wholesale: oggi Gucci realizza circa l'80% del giro d'affari nelle boutique gestite direttamente (70% nel 2009). Dal Gruppo Kering, come riporta Reuters, ribattono che il riposizionamento del marchio va collocato in un orizzonte di lungo periodo, che il processo di restyling delle boutique è in corso (il 58% del network si è adeguato al concept ideato da Frida Giannini) e che Gucci sta scontando la decisione di ridurre le consegne ad alcuni distributori terzi (nelle foto, Kate Moss indossa la borsa Jackie Soft nella campagna autunno-inverno 2014/2015).