Best practice Hilfiger, Stone Island e Loro Piana

Ricca (Interbrand): «Per la moda ignorare la disabilità è un mancato guadagno»

Diversità e inclusione diventano concetti sempre più fondamentali per i brand che vogliono avere successo. E se ormai nel mondo del lusso l'attenzione su temi razziali, culturali, genere è massima, il dibattito sembra ancora abbastanza fermo su un altro aspetto della diversity: la disabilità. «Meno del 5% delle aziende considera la disabilità nello sviluppo della propria offerta», commenta Manfredi Ricca, global chief strategy officer Interbrand.

 

In realtà in queste ultime settimane qualcosa si è mosso: durante la fashion week di New York Tommy Hilfiger ha annunciato che organizzerà la prossima primavera a Los Angeles una sfilata dedicata alla linea Tommy Adaptive creata per persone con esigenze speciali come l'autismo o disabilità, attualmente distribuita momentaneamente solo negli Stati Uniti.

 

Sempre durante le sfilate nella Grande mela i riflettori si sono accesi su Daisy la baby modella di nove anni con gambe amputate attesa anche sulle passarelle di Parigi.Messaggi di inclusione  arrivano anche da altri marchi, tra cui Stone Island, che proprio in queste settimane ha raggiunto l'obiettivo di rendere il suo sito completamente accessibile ai non vedenti e non udenti in tutto il mondo.

 

In Europa, e in Italia, il vento del cambiamento, rispetto a una rappresentazione del corpo realmente inclusiva, sembra soffiare con meno vigore, se si esclude il caso di Bebe Vio, ambassador e presenza fissa agli eventi di Christian Dior.

 

E anche chi porta avanti politiche di inclusioni riguardanti persone con handicap spesso non lo comunica. Un'eccezione è Loro Piana, che ha appena annunciato la collaborazione con Special Olympics, realtà che collabora con tutte le maison di Lvmh in Italia e che organizza allenamenti ed eventi solo per persone con disabilità intellettiva e per ogni livello di abilità. Anche Kiabi è appena uscita con una campagna pubblicitaria dedicata al back to school che include anche un bimbo in carrozzina a rotelle.

 

«Negli ultimi anni i marchi che hanno sposato la battaglia per l’inclusione sono stati largamente premiati - fa notare Manfredi Ricca di Interbrand, società che da anni attraverso un ricercatissimo studio esamina i brand globali a maggior valore economico -. Diversity è un temine molto ampio, che significa costruire politiche aziendali che non lascino fuori nessuno, tanto meno i disabili. Eppure meno del 5% delle aziende considera la disabilità nello sviluppo della propria offerta».

«Le aziende del lusso - aggiunge Ricca - devono iniziare a prendere in considerazione nel loro processo di design il tema della disabilità. Un percorso difficile, ma che può dare grandi risultati. Basti pensare a cosa sono riuscite a fare nel mercato degli occhiali, che di fatto sono una protesi trasformata in un oggetto di tendenza».

 

Una dimenticanza poco strategica, visto che il mercato dei disabili per le aziende potrebbe rivelarsi più che una responsabilità, una vera opportunità di business, dati i suoi numeri tutt'altro che di nicchia. «Oltre 1,3 miliardi di persone nel mondo vive con qualche forma di disabilità - racconta Ricca - la maggior parte delle quali sono invisibili. Se consideriamo anche l'entorurage di ciascuno di essi ci troviamo di fronte a un mercato da 8mila miliardi di dollari».

 

Le persone con disabilità, al pari di tutti gli altri consumatori, vogliono indossare il loro brand preferito. «Incomprensibile quindi - prosegue il manager - che il 90% dei negozi fisici siano inaccessibili, ad esempio, a chi si trova su di una sedia a rotelle. Ma le cose stanno lentamente migliorando e il fatto che aziende come Gucci, Prada, Chanel e Burberry abbiano da poco introdotto in azienda professionisti che si occupano a tempo pieno di inclusione è un segnale decisamente incoraggiante».

 

 

Puntare su questo mercato non è solo questione di giustizia, ma di intelligenza. «Per i gruppi del lusso -chiosa Ricca - non affrontare in modo sistematico il tema della disabilità significa mettere a rischio il valore del loro marchio per almeno tre motivi».

 

«Primo - conclude l'esperto di Interbrand -, perché le aziende che non prevengono i cambiamenti sociali sono più esposte a scandali di vario genere, secondo perché escludere dal mercato del lavoro i disabili significa rinunciare a un bacino di talenti enorme, in grado di aggiungere valore a un'organizzazione e, infine, vale la pena ribadire l'aspetto commerciale: ignorare o non saper gestire questo genere di pubblico porta a mancati guadagni. Quindi meglio superare certi tabù».

an.bi.
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