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Axel Dumas (Hermès): «Forti perché coesi e fedeli al dna»

Mantenere l'indipendenza di Hermès a ogni costo: un punto d'onore per Axel Dumas, chief executive della casa di moda, che nel 2014 ha sfondato il tetto dei 4 miliardi di euro di fatturato, e sesta generazione della famiglia che fondò il brand nel 1837. «Come molti dei protestanti in Francia - dice - crediamo strenuamente nella cultura dell'artigianalità».

 

In una lunga intervista al Financial Times, il manager 44enne (nella foto) ripercorre gli ultimi mesi a partire da settembre 2014 quando, dopo una lunga battaglia legale, Lvmh ed Hermès hanno raggiunto un'intesa «amichevole».

 

Un accordo messo a segno dopo che Bernard Arnault, patron di Lvmh, ha accettato di distribuire agli azionisti e agli investitori istituzionali circa due terzi della quota azionaria in suo possesso, pari a quasi 7,2 miliardi di euro (23%) accumulata in Hermès dal 2010, all'insaputa della società.

 

Per contrastare il pericolo di una scalata ostile, Axel Dumas è riuscito a persuadere i circa 100 membri della famiglia a riunire le proprie quote nella holding company H51, «che detiene il 51% dell'azienda» precisa.

 

«Non si può comunque abbassare la guardia - aggiunge -. La cosa veramente ammirevole è stato l'atteggiamento della famiglia, che ha fatto squadra per difendere Hermès. Nessuno degli azionisti di H51 può cedere le sue quote per 20 anni: un impegno importante, ma non si sono tirati indietro. Motivandomi ancora di più nel mio compito principale, difendere l'indipendenza del marchio. Si è trattato di una prova di fedeltà reciproca».

 

Dumas cita un'opera di Max Weber, The Protestant Ethic, per ricordare quanto la cultura dell'artigianalità sia importante per Hermès. E ricorda come le famose "Kelly bag" (vendute a un prezzo di 4.890 dollari) vengano prodotte rigorosamente in Francia.

 

«Abbiamo costruito 15 nuovi centri specializzati nella pelletteria per far fronte alla domanda - informa -. All'interno di queste strutture cerchiamo di non avere più di 250 lavoratori, perché un numero troppo alto presuppone che le persone non si conoscano e che si parli di uno stabilimento, non di un laboratorio».

 

Ci vogliono due anni per diventare un artigiano Hermès, anche se sarebbe meglio dire un'artigiana, «visto che l'80% degli addetti sono donne». «È un lavoro duro - afferma - che richiede personalità, perché ci vogliono 15 ore per fare una borsa e spesso quella stessa borsa è realizzata da un solo paio di mani».  

 

Dumas non rivela quanto siano pagati gli addetti, ma specifica: «Per noi è importante che siano felici. Il che non significa che siamo perfetti».

 

La seconda parte dell'intervista si focalizza sul percorso di vita e di lavoro del manager, che già a otto anni aveva la consapevolezza di «essere un Hermès» e che, a parte gli studi in Scienze Politiche e ad Harvard, rivela la sua innata passione per la filosofia.

 

Pressioni da parte dei genitori? «No - risponde -. Ho avuto la libertà di scegliere». Nel suo curriculum otto anni in BNP Paribas, con un biennio in Cina («Un Paese dove sognavo di andare»), per poi trasferirsi a Parigi e a New York, dove ha abitato per quattro anni.

 

Infine la proposta dello zio Jean: «Vorrei che entrassi nella società». «Accettai - ricorda - e quando mi chiese cosa mi sarebbe piaciuto fare, gli raccomandai: "Tutto tranne la finanza". E lui, puntualmente, mi indirizzò al dipartimento finanziario».

 

Dumas è stato alla guida della divisione gioielli e pelletteria (attraverso quest'ultima si realizza il 44% del giro d'affari di Hermès) prima di diventare ceo a giugno 2014. Suo cugino, Pierre-Alexis, è direttore artistico.

 

Tra le nuove sfide, la nomina di Nadège Vanhee-Cybulski come designer della collezione e il rinnovamento del negozio londinese in Bond street, dove il marchio è presente da 40 anni.

 

La casa di moda ha archiviato il 2014 con ricavi di 4,1 miliardi di euro (+11% a cambi costanti), un utile operativo di 1,3 miliardi (+7%) e 700 nuovi posti di lavoro creati.

 

La prospettiva per il 2015 è di un turnover in crescita dell'8% a valute costanti, viste le incertezze sui fronti macroeconomico, geopolitico e monetario.

 

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