Una cena sui Navigli a Milano, ieri 8 luglio, ha fornito a Kiabi la chance di mettere in evidenza i propri capi Eco, per far toccare con mano ai giornalisti il lavoro che c’è dietro le collezioni e i materiali. Un impegno che rientra in un percorso segnato, messo a punto dall'azienda, che ha archiviato l'anno della pandemia con il fatturato in progress.
Nata nel 1978 in Francia con il concetto di moda a piccoli prezzi per tutta la famiglia, l'insegna da 1,7 miliardi di euro nel 2020 (in progress del 2,4% sul 2019), dialoga oggi con 137 fornitori in 400 stabilimenti scelti, spiega una nota, «in base a criteri di sostenibilità a tutto tondo: dal rispetto dei diritti umani alle condizioni di lavoro, dalla protezione dell'ambiente alla prevenzione della corruzione».
Tra i firmatari del Fashion Pact, Kiabi ha come obiettivo la riduzione dell'impatto sull'ambiente, con un intervento a tutti i livelli che parte dalla selezione delle materie prime per arrivare al processo produttivo, alla logistica e alla distribuzione.
«Il fine è raggiungere il 100% di materiali sostenibili per la produzione di indumenti e accessori tessili entro il 2025», prosegue la nota.
Nel 2020 il 22% degli acquisti ha riguardato materiali ricavati da una coltivazione rigenerativa e rispettosa della fauna selvatica.
A oggi, 10 milioni di pantaloni in denim sono stati trattati con il metodo eco-wash, che consuma meno acqua, 37 milioni di T-shirt e 2,8 milioni di body da neonato sono in fibre di cotone da agricoltura biologica e integrata e un milione di piumini e cappotti in poliestere riciclato, a partire da bottiglie usate in plastica Pet.
Nel 2020 il cotone eco è stato grande protagonista, con oltre 77 milioni di capi di abbigliamento realizzati in totale.
Kiabi, inoltre, si è impegnata per ridurre gli sprechi nella realizzazione di giacche a vento, che mediamente nella produzione riguardano il 22% del tessuto necessario. La risposta dell'insegna è stata la giacca Rifiuti 0, realizzata in collaborazione con la modellista tessile zero Waste Mylene L'Orguilloux, co-fondatrice di Zwdo Collective, che non genera alcuno spreco di tessuto.
Attualmente un focus è sull'organizzazione logistica, con l'obiettivo di progettare, produrre e distribuire una moda sostenibile lungo tutta la catena del valore, dai materiali alla logistica, fino ai magazzini. Grazie alla creazione di un magazzino nuovo per l'area Europa meridionale viene risparmiato un giro del mondo in camion a settimana. Per il 2021, invece, l'azienda mira a ridurre il trasporto aereo al 6,1%.
Tra i temi chiave del percorso di sostenibilità di Kiabi ci sono smaltimento e riciclo, affrontati con il progetto Seconda Mano. In Francia, infatti, sono stati creati due laboratori di personalizzazione per adattare e prolungare la vita degli indumenti presso gli store di Cormontreuil e Merignac, dove sono nati anche sei corner dell’usato. L’obiettivo del 2021 è arrivare a 25 corner del second hand in Francia, Italia, Spagna e Belgio.
Grazie al modello x-canal la clientela ha un facile accesso al servizio, sia dal web che negli store, e può rivendere i propri capi di abbigliamento di qualunque marca e acquistare online modelli di seconda mano.
L'insegna, approdata in Italia 25 anni fa con l'apertura del primo store a Milano e che nel nostro Paese ha 33 store, conta in totale 330 negozi in Francia e 133 all'estero.
Il web è una carta importante da giocare, soprattutto dopo la pandemia: nel 2020 ha generato un turnover di 180 milioni di euro, con una crescita del 43% rispetto al 2019 e con il 60% di nuovi clienti nel 2020.