«Cercare di essere positivi in una situazione del genere non è facile, ma vale la pena provarci. Credo che questo sia il momento per noi imprenditori di ripensare le nostre aziende, che dovranno riaprire e cambiare pelle quando la situazione si sarà normalizzata. Come non lo so, ma di certo questa emergenza sarà l’occasione per ricostruire una filiera più efficiente e più etica. E forse rinunciare a certi retaggi del passato, come la possibilità di vendere le collezioni in soli due momenti all’anno. Le aziende di moda dopo questa crisi dovranno essere ancora più vicine alle esigenze dei clienti, cambiando tempistiche e modalità di vendita. Nel frattempo ci sono altri i problemi urgenti da affrontare e risolvere, per assicurare la sopravvivenza delle nostre imprese. Di certo il primo impegno del Governo sarà quello di garantire una liquidità che andrà a mancare, perché in questo momento, almeno nel nostro settore, il consumatore finale non può consumare e non è in grado di immettere risorse nel sistema finanziando i negozianti, che alimentano le aziende, che a loro volta tengono in vita i fornitori. Serve la capacità di dare ossigeno a tutta questa filiera, che è molto lunga e probabilmente chi ci governa non conosce nello specifico. Il tema della cassa integrazione è importante, ma lo è altrettanto quello del costo fornitore. Per tutti questi motivi non posso che allinearmi agli appelli di molti colleghi imprenditori a un maggior supporto alle aziende, almeno a quelle con certe caratteristiche e capacità. Un altro problema con cui ci confronteremo molto presto è come smaltire, quando i negozi riapriranno, l'enorme mole di capi invenduti, quelli fermi nei negozi e quelli presenti nei nostri magazzini. Per non parlare del problema degli ordini dell’autunno-inverno, che per la donna sono drasticamente ridotti, perché le campagne vendite non ci sono praticamente state, mentre per l’uomo gli ordini ci sono stati ma vengono quotidianamente rivisti, se non addirittura cancellati. Su questo fronte non possiamo prevedere grandi aiuti dall’esterno o soluzioni, se non quella di rallentare e convivere per quest’anno - e anche per il prossimo - con un surplus di prodotto, da cui temo che usciremo solo con colossali saldi e svendite in stock. Una situazione davvero dura, che certo costringerà alcune realtà, che già non attraversavano un momento felice, a uscire dal mercato definitivamente».
Andrea Lardini
Presidente di Lardini
«Ora siamo chiusi, ma nei giorni scorsi abbiamo riconvertito la produzione, realizzando 12mila mascherine per il Comune di Martina Franca e anche per l'ospedale San Giuseppe di Milano. La sensazione predominante è, come si può immaginare, di forte incertezza: non si sa quando potremo sbloccarci, se il 3 aprile, il 15, magari a maggio, con tutte le conseguenze del caso sulla produzione e sull'approvvigionamento dei tessuti. Slittano i pagamenti da parte dei negozi, abbiamo ancora merce non ritirata in casa e gli interrogativi si moltiplicano sulle future stagioni. Dicono che Pitti non salterà e tuttavia, parlando con i clienti, soprattutto stranieri, non tira una bella aria: a venire a Firenze i più non ci pensano. Noi potremmo anche farcela a esserci, se si parla di tempistiche, perché siamo snelli, veloci, produciamo tutto internamente e in una settimana potremmo essere pronti. Ma il gioco vale la candela? Siamo abituati ad assumerci da sempre il rischio d'impresa, senza aspettare più di tanto le istituzioni, ma ora la situazione è di vera emergenza: il Governo deve darci una mano, abbassando innanzitutto le tassazioni. Se non lo farà, sarà come togliere il respiratore a chi lotta contro il virus. Un'esortazione che non è solo mia ma di tutta la filiera, delle realtà piccole e medie che devono avere una chance di sopravvivenza e soprattutto di ripartenza. Quanto a fare sistema nel settore moda, certo è una bella idea: basta che poi la nostra voce arrivi là dove deve arrivare, nell'hardware del Parlamento e su questo sono scettico. Il messaggio peraltro è molto chiaro e semplice, dateci la possibilità di mantenere l'eccellenza del made in Italy. Non esistono solo le multinazionali, ma anche una rete di imprenditori sparsi su tutto il territorio, che costituiscono l'ossatura del nostro comparto e del Paese».
Salvatore Toma
Presidente di Toma Italian Brand e presidente della sezione Tessile e Abbigliamento di Confindustria Taranto e Puglia
«La situazione è drammatica e non parlo solo dell’emergenza sanitaria, ma anche quella economico-finanziaria. I clienti ci comunicano che non potranno pagare la collezione estiva già consegnata e per di più non confermano gli ordini dell’invernale, che stiamo già portando avanti. In una situazione del genere, quello che è stato fatto dal Governo per le aziende con un fatturato superiore ai due milioni di euro, è stato rimandare di appena quattro giorni (dal lunedì al venerdì) il pagamento delle imposte F24. Un po’ poco, direi. Anche non vedere alcun riferimento specifico alla moda nel Decreto Cura Italia è stato una grave mancanza. Alle aziende è stata promessa liquidità straordinaria e ce n’è davvero bisogno. Perché sospendere le rate di mutui e pagamenti non basta. Certo occorre capire con quali criteri sarà erogata questa liquidità straordinaria. O le banche sostengono i negozianti, che così pagano quanto acquistato dalle aziende che poi possono confermare ordini ai fornitori di materie prime, oppure si decide di dare ossigeno alle aziende, che così possono proseguire le attività, mandando avanti ordini ai fornitori e, allo stesso tempo, ammettendo deroghe di pagamento ai negozianti. Certo è che il sistema di credito deve adeguarsi, tempi per istruire lunghe pratiche non ce ne sono. Quello che le aziende non possono permettersi di fare è rinunciare a realizzare le nuove collezioni. Certo, andranno ripensati quantitativi e offerta prodotto, tenendo conto di un calo delle vendite per la prossima stagione che potrebbe arrivare al 50%. In un quadro del genere penso che tutte le fiere di settore debbano essere cancellate, almeno quelle previste fino all’estate. Poi si vedrà. In questo momento non è pensabile che le aziende possano sostenere un investimento simile. E non sono nemmeno sicuro che in questo scenario partecipare a un salone possa essere utile alla ripresa. Meglio che tutti si limitino alla vendita in showroom, reale o virtuale che sia».
Luca Mirabassi
Presidente e fondatore di Sterme International (Lorena Antoniazzi)
«Più che delle imprese della moda, mi pare che il Decreto Cura Italia si sia dimenticato di tutte le aziende in generale, specie quelle manifatturiere. E questo perché mancano certezze. Quello che noi imprenditori chiediamo è di poter avere riscontri di quanto promesso dalla classe politica. In questi giorni, quando parliamo con le banche ci dicono di non aver ricevuto niente di ufficiale e di non avere disposizioni specifiche. Ci chiedono di aspettare, ma noi tempo non ne abbiano. Anche sul fronte della cassa integrazione ci sono nodi da sciogliere, specie a livello sindacale. Quello che più vogliamo sapere è se ci consentiranno di produrre gli ordini, seppure in netto calo, che abbiano ricevuto. Da oggi le fabbriche si bloccano fino al 3 aprile? E poi potremmo riaprire? Personalmente non condivido la decisione di bloccare le fabbriche, ma in qualche modo proveremo a fronteggiare anche questa situazione. Certo, se la serrata dura più di un mese/un mese e mezzo, la stagione rischia di saltare. Questo mette a rischio le nostre aziende, i dipendenti e anche tutti i nostri subfornitori, che sono una categoria davvero in pericolo».
Paolo Mason (ceo) e Morena Bragagnolo (direttrice creativa)
di Plissé (Beatrice.b, Sfizio e Smarteez)
«Oggi piove, ma domani ci sarà il sole. È vero, siamo abituati alle sfide ma questa è davvero tosta. Abbiamo incassato di tutto, mercati che vanno su e giù, cali nelle vendite, ma un evento del genere era veramente inimmaginabile. Ci ha colti tutti impreparati. Però vogliamo essere positivi: le prospettive non sono rosee, ma lavoriamo nell’ottica che prima o poi potremo ripartire. Quando? Impossibile saperlo, naturalmente. Il Covid-19 ci è piombato addosso quando stavamo finendo le consegne e nel bel mezzo della campagna vendite. Solitamente quest’ultima si conclude intorno al 20 marzo e come prima mossa l’abbiamo prorogata sino alla fine di aprile, sperando che l’infezione rallenti. Stiamo ragionando di settimana in settimana. Fortunatamente i nostri fornitori e clienti sono flessibili, a dimostrazione che se si lavora in squadra si può attutire l’impatto di questo tornado. Quanto alla produzione, in parte l’abbiamo riconvertita nella realizzazione di mascherine e camici da sala operatoria, convinti in questo modo di fare la nostra parte per supportare il personale sanitario e contribuire ad arginare lo sviluppo dei contagi. Abbiamo acquistato le materie prime sotto il consiglio di esperti, un fornitore locale ci ha donato il tessuto adatto alla realizzazione dei camici e tutti i prodotti verranno adeguatamente sterilizzati a nostre spese, per essere pronti all’uso. Stimiamo che già all’inizio della prossima settimana si riesca a donare circa 15mila mascherine e 1.000 camici alle Asl di zona e abbiamo già accolto molte altre richieste provenienti da case di cura per gli anziani e aziende locali, che potranno acquistare i prodotti al prezzo di costo. In azienda attualmente lavorano una ventina di persone su un totale di 60, ma li abbiamo messi in una situazione di sicurezza dal punto di vista sia igienico che psicologico, garantendo un’assicurazione anti Covid-19, con un’indennità in caso di malattia, sia durante il ricovero che dopo. Naturalmente stiamo già pensando anche alla collezione per la primavera-estate 2021. Tutto è sospeso, ma vogliamo essere ottimisti».
Andrea Miranda
Ceo di Kocca
«Calcoliamo una perdita di circa il 50% del fatturato stagionale in seguito alla chiusura della rete distributiva. Non lasciamo però soli i nostri clienti italiani ed europei e cerchiamo di studiare insieme a loro le migliori strategie da attuare per affrontare questa situazione grave e anomala. Sull'autunno-inverno 2020/2021 è presto per pronunciarsi, ma è molto probabile che l'onda lunga della crisi abbia delle conseguenze. Presto ci sarà la necessità di incentivare i consumi, con eventuali meccanismi di detrazioni fiscali, simili a quelli già adottati ad esempio per i farmaci. Per quanto riguarda un'azienda come la nostra, dal Governo ci aspettiamo una dilazione dei termini fiscali e contributivi, una regolamentazione dei fitti passivi e bonus per i nostri dipendenti: solo così potremo affrontare l'impasse e anche superarla il più velocemente possibile. Noi facciamo la nostra parte, stando vicino ai clienti e guardando all'obiettivo comune, quello di tornare quanto prima a lavorare in sinergia per lo sviluppo in Italia e all'estero dei marchi Kocca e Kocca Girls».
Alberto Dalena
Ceo di Gimel
«Sono quattro le principali richieste che farei al Governo in questo momento di emergenza senza precedenti e mentre siamo chiusi, in ottemperanza al Decreto Cura Italia. Innanzitutto il rinvio, con una eventuale estensione dell'ambito oggettivo di applicazione - anche a imposte dirette e/o a tributi locali -, dei pagamenti delle imposte dirette, delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi Inail, al prossimo settembre. In secondo luogo, sempre fino a settembre, la sospensione di tutte le attività di controllo, liquidazione, accertamento, riscossione e contenzioso da parte degli enti impositori. Inoltre una qualificazione più puntuale della disposizione di cui all'articolo 91 del Decreto Legge numero 18/2020 (limitazione/assenza di responsabilità del debitore inadempiente), anche nella previsione di agganciare un'ipotesi di "sterilizzazione" temporanea (sei-12 mesi) di tutti gli strumenti di esecuzione delle obbligazioni contrattuali rimaste inadempiute nel periodo tra marzo e il prossimo settembre. Non ultima, occorre un'estensione della moratoria "automatica" delle scadenze di pagamento della quota capitale (ed estensione integrale delle garanzie pubbliche sulla quota interessi) dei mutui e dei finanziamenti in essere al mese di marzo, fino a dicembre 2020, con una dilazione di almeno 18/24 mesi del pagamento del residuo».
Carola Prevosti
Amministratore unico di Preca Brummel
«Le perdite di fatturato derivanti dalle mancate vendite della SS20 saranno importanti, come si può immaginare, anche se a oggi non possiamo ancora avere percentuali credibili, visto che le tempistiche di chiusura dei negozi potrebbero variare da regione a regione e, soprattutto, da Paese a Paese. Certamente si parla di un calo a doppia cifra del sell out, a cui si aggiungerà il tema della marginalità, poiché l'auspicata ripresa non sarà esente da promozioni e saldi. Tamponiamo in parte con il nostro e-shop, che sta andando bene: il cliente è fidelizzato e anche adesso riconosce il valore del marchio. Da diversi mesi la piattaforma è stata implementata per migliorare la customer experience e allo stato attuale questo ci avvantaggia, quindi continueremo a lavorare per migliorarla. Stiamo, in particolare, rivedendo il merchandising dello store online e il relativo Crm, per essere più in linea con le esigenze particolari di questa fase di mercato. Con i punti vendita fisici il rapporto è forte e storico: lavoriamo a stretto contatto con loro per affrontare insieme l'emergenza. Intanto ci aspettiamo dal premier Conte un impegno concreto per tutelare il nostro personale, che risente della chiusura dell'apparato produttivo e commerciale, aiutarci a far fronte alle spese connesse al fermo delle attività e al pagamento dei contributi. Fondamentale inoltre la garanzia di un più facile accesso al credito, per affrontare le difficoltà legate alla liquidità e rendere possibile il sostegno che stiamo dando a tutta la catena del valore».