«È un momento molto positivo per il menswear italiano. Abbiamo una crescita dell’export sia in Europa che extra-Ue. Ci sono mercati che stanno andando particolarmente bene, come la Germania. Scende l’Inghilterra, mentre Giappone e Hong Kong sono fermi. Penso che almeno questo 2022 dovremo abituarci a un po’ di schizofrenia del mercato, con momenti di grande espansione, frenati da possibili focolai e conseguenti chiusure. Per questo prevedo che la vera ripresa ci sarà nel 2023-2024 e 2025», spiega Claudio Marenzi, presidente di Pitti Immagine, commentando i dati del settore aggiornati al luglio del 2021.
Per quanto riguarda la ripresa autunnale, l’imprenditore ha sottolineato l’enorme dinamismo delle vendite, facendo riferimento al suo brand Herno. «Negli ultimi due mesi e mezzo abbiamo avuto un’impennata impressionante di riordini, in Germania soprattutto, ma anche in Italia, dove pure la provincia sta viaggiando bene. A volte i riassortimenti hanno superato addirittura gli ordini. Tutti i nostri negozi stanno performando benissimo, ma quello di Londra sta viaggiando in modo incredibile e in tutta la città c’è una vitalità incredibile».
Secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2021, l’export di moda maschile è cresciuto del 16,4%, per un totale di oltre 3,8 miliardi di euro, mentre l’import ha avuto una progressione dell’1,7%.
Segnali di schiarita sono arrivati sia dalle aree Ue che extra-Ue, come si diceva, cresciute rispettivamente del 25,4% e del 9,9%, con il mercato Ue che vale il 45,1% sull’export totale del comparto, e l’extra-Ue che diventa maggior “cliente”, passando al 54,9%.
Principale mercato di sbocco nei sette mesi analizzati è risultata la Svizzera, in evoluzione del +16,6%, («un mercato che va sempre un po’ decodificato, in quanto si tratta di un grande hub», ha puntualizzato Marenzi), seguita da Germania e Francia, rispettivamente in progressione del +24,8% e del +29,7%.
Al quarto posto figurano gli Stati Uniti, dove si evidenzia una dinamica positiva (+5,6%), anche se il ritmo è meno vivace rispetto ai primi tre Paesi clienti.
Molto positive sono state le performance dell’Asia, ha sottolineato Marenzi, con la Cina che balza al quinto posto, con le vendite in crescita high double digit a +81,3% rispetto allo stesso periodo del 2020. «I cinesi non vengono più in Occidente e quindi comprano nel loro Paese. Bisognerà capire se sarà un trend anche nel futuro. Un fattore che inciderà molto sul retail europeo».
Crescita sensibile, sempre in Asia, per la Corea del Sud, che ha messo a segno un +37,1%, mentre il Giappone e Hong Kong calano rispettivamente del 4,5% e del 2,1%.
«Hong Kong è destinata a comprimersi in generale - ha chiarito Marenzi - mentre il Giappone è in un momento di confusione e di sospensione, per quanto riguarda l’approccio al Covid e le misure adottate».
Terzo mercato in calo è il Regno Unito, sesto sbocco per il nostro menswear, che ha accusato una flessione sensibile, pari al al -27,7%, anche se, come abbiamo sentito da Marenzi, c’è euforia e dinamismo nel Paese in questa fase.
In evoluzione tutti gli altri Paesi in classifica, dalla Spagna ai Paesi Bassi, dalla Russia al Belgio, dalla Polonia all’Austria, che archiviano i primi sette mesi del 2021 con un aumento delle esportazioni italiane di moda uomo, compreso tra il +73,9% e il +10,7%.
Ancora più interessante è il confronto con il 2019 pre-pandemia. In questo caso nazioni come Svizzera, Germania, Francia e Corea del Sud, hanno superato ampiamente i valori registrati dal menswear italiano due anni fa, mentre non hanno ancora colmato il gap Usa, Regno Unito, Spagna e il Giappone.
Per quanto riguarda la Cina e Hong Kong, se la prima vede un export superiore di 60,5 milioni rispetto all’analogo periodo del 2019, Hong Kong presenta livelli inferiori di oltre 80 milioni.
Sul fronte import, da gennaio a luglio la moda maschile ha registrato flessioni da Bangladesh (-6,3%) e Cina (-20,9%) - bilanciati da un aumento di Paesi Bassi (+24,8%) - nonché dalla Romania (-5,6%). In evoluzione l’import dalla Francia (+34,8%) e dalla Spagna (+23,9%), oltre che da Tunisia e Turchia.