Una nuova partita tra buyer e aziende

Wholesale: crisi o rinascita? Le prospettive del canale dividono gli esperti

Provare a immaginare come cambierà il canale wholesale nel 2021 è come imbarcarsi in un oroscopo collettivo. Inizierà una crisi senza ritorno? O forse no: perché chi, specie tra i grandi brand del lusso, voleva fare pulizia per concentrarsi su una distribuzione sempre più diretta lo ha già fatto e quindi il peggio potrebbe essere ormai alle spalle.

Nel tentativo, se non proprio di predire, ma almeno di intuire il futuro del settore nell'ultimo numero di Fashion attualmente in distribuzione ci siamo rivolti ad alcuni analisti e consulenti strategici che, pur nella diversità di vedute sull’effettivo stato di salute del canale e sulle sue capacità di resilienza, hanno provato a delineare le nuove strade da percorrere per l’industria del wholesale.

Le considerazioni di Federica Levato, partner di Bain&Company, partono dai numeri contenuti nell'ultima edizione dell'Altagamma luxury study secondo cui l'incidenza del wholesale fisico sul totale del mercato del lusso scenderà dal 59% del 2019 al 40-45% del 2025.

«La razionalizzazione della presenza dei brand del lusso sul canale indiretto - osserva Levato - si inserisce in una più ampia strategia, il cui comune denominatore è quello di gestire in maniera sempre più diretta la primaria “risorsa” del lusso: il network di clienti. Controllare totalmente tutte le leve della propria value proposition (dall’offerta prodotto, al pricing alla comunicazione) è l’elemento di successo più fondamentale nel contesto di mercato in cui ci troviamo. E la distribuzione indiretta risulta ovviamente meno efficace nel raggiungere questo obiettivo».

Una visione che trova apparentemente riscontro nella strategia delle grandi case di moda, che per anni hanno sostenuto (e sono state sostenute) dal canale multibrand. Casi come Prada, che ha annunciato di generare ormai il 90% delle vendite dal canale diretto, o i marchi del gruppo Kering, Gucci in testa, sempre più selettivi nello scegliere i buyer con cui lavorare.

Ma c'è anche chi valuta le scelte di Prada, Gucci e altre maison come gli ultimi colpi di coda di una crisi ormai superata, che il settore del wholesale ha attraversato ben prima dell’inizio del Covid-19.

«Dopo la pulizia degli anni passati, che brand come Prada stanno completando solo ora, la crisi peggiore del canale sembra essere superata» è l’opinione di Paola Carboni, analista di Equita per il settore lusso. «Molti brand - aggiunge - ne hanno riscoperto l’importanza: alcuni multimarca sono veri curator di gusto e di stile e ed essere presenti nel loro assortimento è un plus».

«Anche in epoca Covid-19 - prosegue l’analista - il canale ha tenuto meglio rispetto alle fosche previsioni iniziali, perché la domanda si è spostata dal turismo (che ha penalizzato di più i negozi monomarca delle grandi città) al consumatore locale. Inoltre il canale wholesale è tipicamente in gran parte rappresentato dai department store Usa, che hanno beneficiato di un recupero della domanda superiore alle attese dal terzo quarter dell'anno in poi».

Un outlook positivo, che sembra trovare riscontro anche un recente sondaggio condotto da NuOrder. Attraverso 688 interviste a vari brand (clienti ma non solo) la piattaforma b2b, che connette più di 2.500 brand e 500mila retailer per le campagne vendita virtuali, ha fotografato una realtà incoraggiante.

Il 46% delle aziende interpellate, infatti, ha affermato di voler aumentare il numero di buyer che acquistano le loro collezioni e il 41% dei marchi ha invece affermato che punta a vendere di più al network di clienti già esistente, mentre solo il 13% afferma che si sta spostando dal wholesale al director to consumer.

Numeri che non spaventano Federico Bonelli, retail, fashion e luxury leader strategy e transaction med di EY. «Molti lo danno per superato - commenta - ma nel settore moda il canale distributivo wholesale ha ancora parecchi ruoli da svolgere. Perché è diversificato per modello e dimensione nei vari mercati geografici, continua ad avere la capacità di servire tutte le piazze piccole dove il retail diretto come modello di business si è visto che non riesce a stare in piedi. Il tutto senza dimenticare che rappresenta per i marchi il canale a migliore marginalità».

Più che in crisi, quindi, il modello multimarca sembra essere nel pieno di una trasformazione radicale (associata a un’idea di miglioramento), che sta richiedendo la ricerca di nuove strade da attivare, prima fra tutte il ripensamento del punto vendita fisico, da luogo esclusivamente operativo a relazionale.

La possibile mortalità di alcune aziende wholesale produrrà la nascita di nuove, pronte a rispondere a nuovi problemi, nuove sfide, nuovi bisogni. «All’interno della distribuzione indiretta - sottolinea Filippo Prete, senior manager di Bain&Company e co-autore dello studio con Altagamma - esistono in effetti alcuni modelli di business che risultano più vincenti rispetto ad altri per vari motivi. Il canale digital indiretto rappresentato dagli e-trailer beneficia dell’ondata di digitalizzazione che ha pervaso tutto il settore, oltre che del cambiamento generazionale in atto sul mercato del lusso. C’è anche il canale franchise, che resta una modalità efficace per entrare in nuovi mercati come l’America Latina, il Sud Est asiatico o il Medio Oriente».

Importante sarà anche il ruolo delle griffe in questa imponente evoluzione, sia a livello di supporto economico, sia sotto forma di controllo diretto sul canale.

«La trasformazione del canale - tira le somme Federica Levato di Bain&Company - non può prescindere dallo svilupparsi in combinazione con l’esigenza da parte dei brand del lusso di aumentare il controllo sul canale indiretto e questo potrebbe concretizzarsi attraverso varie modalità: dalla creazione di partnership tra brand e “champion” del canale indiretto (in cui i brand assumono il controllo diretto di alcuni step della value proposition) alla maggiore condivisione tra brand e wholesaler di dati e informazioni sui consumatori, anche per disegnare strategie e iniziative commerciali congiunte,  a beneficio di entrambi gli attori».

Sulla stessa lunghezza d’onda Federico Bonelli di EY: «Il sostegno da parte delle aziende ci sarà - dice - attraverso pagamenti puntuali e protettivi del flusso di cassa. e Poi vedremo sempre di più adottate nuove modalità di partnership più vicine al modello del partenariat alla francese, in cui il brand investe la merce e il partner wholesale gestisce affitto e dipendenti, spartendosi poi in quote simili il valore del venduto ed evitando così al partner wholesale l’esposizione ed il rischio finanziario connesso all’acquisto del prodotti».


an.bi.
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