L’annus horribils della pandemia si è chiuso per il settore moda con un fatturato in calo del 26%, per un totale di 72,5 miliardi di euro. Una percentuale decisamente alta, che si è ridotta al 20% nel quarto trimestre (tuttavia ancora molto marcata) e destinata a scendere ancora nei primi quarter dell’anno in corso. Ma per la ripresa bisognerà aspettare la seconda metà dell’anno.
Secondo l’analisi di Confindustria Moda, che considera un campione di oltre 300 aziende su tutto il territorio, i primi tre mesi del 2021 dovrebbero chiudersi con una flessione del 18,4% poi, a seguire, la percentuale scenderebbe al -10 nel secondo.
Ma il vero recupero è previsto a partire dal terzo trimestre del 2021, con una decisa accelerazione nel quarto, sempre che il piano vaccinale proceda speditamente, consentendo un progressivo ritorno a livelli di attività pre-covid nel corso del 2022.
Un trend in ripresa dovuto al parziale recupero delle vendite all’estero, come segnala il 37% delle aziende interpellate secondo le quali mercati come Cina, Usa, Germania e Francia sarebbero già ripartiti.
Nonostante il settore sia tra i più colpiti dalla crisi pandemica, il saldo commerciale del fashion si è attestato sui 17.4 miliardi di euro, cifra che lo conferma come primo contributore alla bilancia commerciale del Paese fra le tre F (Fashion, Food, Forniture) del made in Italy.
«Per il comparto Moda il 2020 è stato un anno drammatico, con pesanti perdite che hanno colpito trasversalmente tutti i settori. Nonostante ciò le imprese hanno saputo dimostrare un forte dinamismo, che ci ha permesso comunque di mantenere un ruolo di primissimo piano nel commercio internazionale», è il commento di Cirillo Marcolin, presidente di Confindustria Moda (nella foto).
«Ciò conferma ancora una volta – prosegue - il ruolo strategico svolto dal comparto in tutto il Paese. Per quanto riguarda il 2021, pur in uno scenario in lento miglioramento, restiamo preoccupati per una ripresa che non sarà visibile prima della seconda parte dell’anno. Dobbiamo perciò essere in grado di tutelare e arricchire il know-how del Paese nel settore, potenziando la filiera e proteggendo l’occupabilità dei lavoratori. Solo così torneremo più forti di prima».