Non solo made in Italy, ma Made in Malo: da qui partono le strategie messe in atto dal presidente Walter Maiocchi (nella foto), che dopo aver acquisito nell'ottobre 2018, insieme ai soci Luigino Belloni e Mario Stangoni attraverso la finanziaria FinPlace2 la maggioranza della storica società - dichiarata fallita pochi mesi prima -, è al lavoro su una fase di rilancio che ha visto il brand tornare a Milano Moda Donna e rientrare in Camera Moda.
«Per noi era la prima volta alla fashion week - spiega -. Devo dire che siamo rimasti sorpresi dell'interesse mostrato e della partecipazione all'evento, che abbiamo organizzato nella nostra boutique in via Montenapoleone».
Interesse che è arrivato in gran parte dall'Italia, «ma non sono mancate le presenze estere, in particolare da Germania, Russia, Spagna e Francia». In scena la collezione Spring-Summer 2020, composta da circa 140 articoli per l'uomo e 180 per la donna - accessori esclusi -, che ha visto accanto al materiale d'elezione, il cashmere, l'utilizzo di seta, cotone Makò e altre fibre di pregio.
Filo conduttore il viaggio, molto più di una semplice tendenza moda per il brand, pronto a giocare le sue sfide su diversi tavoli e a differenti latitudini.
Il punto di partenza è appunto il Made in Malo, ossia il dna forte di un'azienda di cui l'imprenditore veneto e i soci, al tempo dell'acquisizione, hanno salvato i 109 dipendenti e, con loro, gli stabilimenti produttivi di Campi Bisenzio (Firenze) e Borgonovo Val Tidone (Piacenza), mentre la rete distributiva può contare su 11 monomarca, di cui sei in Italia, e 130 multimarca, circa il 60% dei quali oltreconfine.
«12 mesi fa i lavoratori erano 109 e ora siamo saliti a 129», informa Maiocchi e precisa: «Essere Made in Malo significa innanzitutto aver riportato all'interno delle nostre fabbriche il 90% della produzione di maglieria, pensando anche a come preservare nel tempo il patrimonio di professionalità che c'è dietro alle nostre collezioni».
«Abbiamo tra l'altro scoperto che esisteva fino a 15 anni fa una scuola di maestre magliaie vicino al nostro impianto di Borgonovo Val Tidone - prosegue - ed è nata così l'idea di ricrearla (in collaborazione con la Regione e il Comune di Piacenza, ndr), per continuare la tradizione artigianale della lavorazione del cashmere di altissimo livello».
Sul fronte distributivo, all'imminente opening di tre monomarca - a Napoli, Mosca e Montecarlo - fa da contraltare l'avvio di una showroom negli Stati Uniti, per riannodare le fila con un mercato in passato fondamentale per Malo, che invece ora vede in pole position, Italia a parte, Giappone, Russia e Spagna.
I ricavi consolidati previsti per il 2019 superano i 15 milioni di euro, ma l'obiettivo è salire oltre il tetto dei 20 milioni nel 2020, alzando l'asticella dal 40% al 60% alla voce export. «A metà dicembre partirà l'e-store - aggiunge Maiocchi - mentre stiamo riattivando i canali social».
Non ultima, l'attenzione alla sostenibilità: «Un tema che deve interessare tutti - conclude il numero uno di Malo -. Per quanto ci riguarda, stiamo eliminando il più possibile la plastica dai packaging e realizziamo oggetti che possano essere riutilizzati. Le nostre proposte, di per sé, superano le mode del momento e sono fatte per rimanere con noi per molto tempo, non andando a impattare sui rifiuti tessili. Inoltre, ci concentriamo sui cicli di produzione e vogliamo offrire una gamma di capi non tinti, nel colore naturale del cashmere».
Nato a Firenze nel 1972, Malo è stato ceduto nel 1999 dai fondatori, i fratelli Alfredo e Giacomo Canessa, a It Holding. Dopo il crac del gruppo molisano, nel 2010 il brand è stato rilevato da Evanthe (gruppo Exa), per passare nel 2014 a Quadro Capitals Partners, fondo d'investimento guidato da alcuni magnati russi.
Un anno dopo Giacomo Canessa torna al timone del marchio, dove resta fino al giugno 2017. Nel settembre successivo scatta la richiesta di concordato preventivo, fino al fallimento nel giugno 2018 e alla discesa in campo del "cavaliere bianco" Maiocchi quattro mesi dopo.