Un trimestre di crescita a doppia cifra, quello di Puma: nel terzo quarter il player dell'active sportswear ha registrato ricavi per 1,478 miliardi di euro (+17% su base adjusted), avanzando in ogni categoria merceologica e in tutte le aree geografiche, a partire dall'Asia Pacifico e dall'America, fino all'Emea, che ha totalizzato un +10%.
L'ebit ha raggiunto i 162,2 milioni di euro (+25%), mentre le spese operative, che hanno sfiorato i 597 milioni di euro, sono aumentate del 18%, in seguito a costi più alti legati al marketing e al retail.
Balzo in avanti del 29,7% dell'utile netto, passato da 77,5 a 100,5 milioni di euro, ossia da 0,52 a 0,67 euro per azione.
Nel periodo il marchio ha aperto il suo primo flagship nordamericano, affacciato sulla Fifth Avenue di New York.
Il chief executive officer Bjørn Gulden ha definito il trimestre il migliore per Puma, «con una punta del +17% nel settore footwear».
Oltre alla soddisfazione per i risultati ottenuti, c'è però anche la preoccupazione per il quarto trimestre: «Sarà il primo in cui si sentiranno gli effetti della guerra dei dazi tra Usa e Cina - ha ricordato il manager -. Ciononostante, prevediamo che l'anno fiscale si chiuda con un incremento delle vendite del 15% circa al netto degli effetti valutari (contro una stima del +13% circa, ndr) e con un ebit intorno ai 420-430 milioni di dollari. Ci aspettiamo performance molto positive, anche relativamente all'utile netto».
Del resto, la percentuale di prodotti Puma realizzati nel Paese del Dragone si è sensibilmente abbassata: un tempo il 50% degli articoli destinati agli States era made in China ma ora non si va oltre al 20% ed è molto probabile che si scenderà ancora, per privilegiare altre nazioni come il Vietnam.
Uno sguardo ai nove mesi evidenzia un turnover di 4,02 miliardi di euro, +16% al netto degli effetti valutari, con la Cina come principale driver della crescita insieme al continente americano. L'area Emea è progredita single-digit.
Tra le categorie merceologiche, nei nove mesi il footwear è salito del 13,5%, l'abbigliamento del 22,4% e gli accessori del 10,3%, mentre alla voce canali distributivi si nota il +14,5% al netto degli effetti valutari del wholesale, anche se ancora meglio è andata nel canale direct-to-consumer, che comprende i monomarca e l'e-commerce e che ha fatto un balzo del 21,3%, al netto degli effetti valutari, superando i 947 milioni di euro.
Attualmente le vendite direct-to-consumer valgono il 23,5% del totale, un punto percentuale in più rispetto a un anno fa.
Sempre nei nove mesi l'ebit ha messo a segno un +28,4%, da 299,8 a 385 milioni di euro e l'utile netto, con un +39%, ha sfondato il tetto dei 244,6 milioni, ossia 1,64 euro per azione.