Nike non venderà più i suoi prodotti su Amazon: ha deciso infatti che si concentrerà su un approccio direct-to-consumer, pur non chiudendo le porte a intese con altre piattaforme.
Dopo la diffusione della notizia, il titolo del colosso dell'active ha guadagnato in un giorno fino a 2 punti percentuali a Wall Street, che dall'inizio dell'anno lo ha premiato con un +22%.
Un duro colpo per Jeff Bezos, a due anni dall'accordo pilota con il marchio dello swoosh, siglato a patto che Amazon alzasse l'asticella nella lotta alla contraffazione. Evidentemente qualcosa non è andato come previsto e ora il fondato timore di Bezos - ma una quasi certezza per molti analisti - è che l'effetto Nike possa contagiare altri big brand.
Va detto che non mancano i precedenti, come quello di Birkenstock, che ha fatto questo passo tre anni fa, stanco della concorrenza dei venditori non autorizzati e della difficoltà a controllarli.
Un portavoce di Nike ha spiegato con poche parole le ragioni dell'allontamento dal marketplace più famoso del mondo: «Vogliamo focalizzarci su esperienze d'acquisto più dirette e personalizzate, anche se continueremo a investire in accordi forti e distintivi con altri rivenditori».
Una mossa che, non a caso, arriva a pochi giorni dall'annuncio dell'ingresso ai vertici dal prossimo gennaio di un tech-executive come John Donahoe al posto di Mark Parker, a.d. dal 2006: da Donahoe, 59enne ex amministratore di eBay, ci si aspetta innanzitutto che dia una forte accelerata alla digital transformation di Nike in tutti i campi, dalla progettazione dei prodotti all'engagement del cliente finale, fino alla gestione dei canali distributivi.
Il marchio a stelle e strisce continuerà comunque a utilizzare Amazon Web Services, unità di cloud computing di Amazon, per alimentare le sue app e i servizi della piattaforma nike.com.