Nasce a Milano il Denim Institute, polo formativo e culturale che ha lo scopo di valorizzare l'heritage di questo tessuto e nel contempo di diffonderne la cultura sotto tutti gli aspetti. Tra questi c'è la sostenibilità, argomento nevralgico per un comparto che ha un forte impatto sull'ambiente. Se ne è parlato nel corso di un convegno organizzato di recente a Milano, a Palazzo Marino.
Il nuovo Denim Insititute, che ha come partner didattici l'Istituto Moda Burgo e l'Università Mercatorum, propone diverse tipologie di corsi, dai workshop tematici ai percorsi universitari.
I primi format inizieranno a novembre e si avvarranno dell'expertise di docenti, professionisti del mondo del fashion. Tra i temi trattati la storia e l'evoluzione del prodotto, fino agli aspetti più tecnici delle lavorazioni quali la chimica applicata, i trattamenti e l'ecosostenibilità.
A proposito di sostenibilità, come ha ricordato l'avvocato Massimiliano Bettoni nel corso della conferenza stama organizzata dall'Istituto Mounier con il patrocinio del Comune di Milano, svoltasi a Palazzo Marino lo scorso 19 settembre, «il 35% della produzione mondiale di cotone serve per produrre il denim e la domanda è in crescita. Consideriamo inoltre che per un paio di jeans sono necessari 10mila litri di acqua e che nel processo produttivo e di tintura vengono impiegate sostanze chimiche nocive e pesticidi dannosi. Per fortuna oggi ci sono molte realtà affermate e startup che fanno della produzione ecosostenibile il loro punto di forza».
Presenti all'incontro c'erano i migliori rappresentanti della filiera del denim virtuosa, a sottolineare che le cose possono cambiare e che ci sono gli strumenti e i percorsi per poterlo fare. Alberto De Conti, head of Rudolf Fashion Division, realtà in capo a Rudolf Group, multinazionale tedesca della chimica con sede a Monaco che lavora per l'80% in ambito tessile, ha parlato degli esperimenti condotti in Hub 1922, il nuovo polo aperto lo scorso anno a Busto Arsizio, a Nord di Milano, dove si fa ricerca sui trattamenti in stretta sinergia con i marchi e i dettaglianti per elaborare nuovi sviluppi creativi.
Spesso si parte proprio dalla natura per riprodurne i fenomeni: «Abbiamo preso esempio dalle foglie di loto e dalle ali di certi insetti, per mettere a punto un trattamento con resine senza fluoro che viene applicato sui tessuti e li rende idrorepellenti. Il pantalone si sporca anche meno e si asciuga prima, con un notevole risparmio di acqua».
Stenilio Morazzini di Montega, realtà del riminese che produce prodotti chimici e coloranti per trattamenti sui tessuti denim, ha riassunto il percorso dell'azienda, nata 39 anni fa e che da dieci anni ha impresso un cambiamento in un'ottica di sostenibilità ai suoi processi, con grandissimi investimenti in ricerca: «Si possono fare cose bellissime senza inquinare - ha sottolineato -. Siamo al punto in cui si potrà riportare molto lavoro in Italia, dove non si inquina più per fare certi trattamenti».
Anche nel campo dei macchinari per i lavaggi e i trattamenti sono stati fatti passi da gigante, come ha sottolineato Alice Tonello di Tonello, realtà che ha venduto nel mondo 8mila macchinari, tutti 100% made in Italy a Vicenza. «Investiamo circa il 10% del fatturato in ricerca e sviluppo e questo ci ha permesso di potere rimanere in Italia e di fare prodotti di qualità, ha ricordato.
«La lavanderia del presente deve essere semplice e trasparente - ha proseguito -. Semplice perché grazie a una lavatrice con sistemi sostenibili come l'ozono o la tecnologia a nebulizzo possiamo creare un capo con il 90% in meno di acqua e prodotti chimici dannosi. Trasparente perché abbiamo creato un software che legge dalla macchina quanto è stato consumato per lavare un capo in termini di acqua, energia, vapore e tempo. Consideriamo che in media per trattare un capo occorrono dagli 80 ai 150 litri, per un'azienda che lavora bene, mentre in Cina si possono superare anche i 200 litri».
Tonello ha tenuto a sottolineare che la maggior parte di acqua che si impega per produrre in jeans viene utilizzata nella fase di coltivazione, mentre il lavaggio rappresenta solo una piccola fetta.
A questo riguardo Simon Giuliani, global marketing director di Candiani, azienda che produce denim nel Parco del Ticino dal 1938 con un'attenzione alla sostenibilità a 360 gradi, ha puntualizzato che il 47% del consumo di acqua per realizzare un jeans viene impiegato nella coltivazione del cotone, il 6% nella produzione del tessuto, mentre il 47% nel lavaggio, voce che però comprende anche quello domestico, aspetto molto importante.
Giuliani ha citato anche altri due dati sorprendenti: «Oggi c'è una produzione mondiale di indumenti di 160 miliardi di pezzi, su 7 miliardi di persone al mondo. Di questi 160 miliardi di pezzi 25 miliardi vengono direttamente buttati via, ossia inceneriti o sotterrati. Sono cose che la maggior parte dei consumatori non sa. Ma ora abbiamo raggiunto un livello in cui le soluzioni alle problematiche ambientali ci sono».
«Lo scorso anno, per gli 80 anni di anniversario, abbiamo lanciato un tessuto celebrativo realizzato con il 65% in meno di acqua e il 75% in meno di prodotti chimici - ha raccontato Giuliani -. Ora la nostra sfida è raccontare i nostri traguardi non solo a livello b2b, ma anche b2c. Per questo ogni anno organizziamo un Open Mill nella nostra azienda dove invitiamo produttori, negozianti, esperti di sostenibilità e influencer all'insegna della trasparenza totale. Di recente abbiamo aperto uno store a Milano dove vendiamo i capi di nostri clienti esclusivamente made in Italy o made in Los Angeles. Inoltre stiamo puntando sullo storytelling tramite video che vendono veicolati a livello consumer».
Nel corso dell'incontro a Palazzo Marino, Francesca Polato di Berto Industria Tessile ha presentato i punti di forza dell'azienda in provincia di Padova, che produce denim in ossequio a tre principi: riusa, riduci, ricicla, ripara e rispetta. «Abbiamo sviluppato un tessuto con il 65% di cotone riciclato in collaborazione con l'azienda Marchi&Fildi di Biella che ha rigenerato i nostri scarti industriali. Inoltre realizziamo un denim in cotone organico e tinto con indaco naturale. Entrambi sono certificati Goats».
Per finire Paolo Gnutti di Pg Denim ha presentato i suoi prodotti in denim che conciliano un punto di vista alternativo sul questo materiale con l'attenzione alla sostenibilità, mentre Fabrizio Consoli di Blue of a Kind ha raccontato la storia di un brand che produce capi unici, tutti realizzati con scarti. «Siamo passati dal ciclo "take, make e dispose" a un processo circolare che segue il percorso "reuse, reduce e recycle", dando un valore aggiunto ai capi in termini di estetica e di creatività». «L'approccio alla moda deve cambiare - ha concluso -. Oggi negli armadi c'è il 65% in più di capi rispetto a 15 anni fa. Abiti che usiamo per la metà del tempo».
Nella foto, un momento del convegno a Palazzo Marino: Alberto De Conti, head of Rudolf Fashion Division, illustra i nuovi trattamenti sviluppati con il polo Hub 1922