Venice Sustainable Fashion Forum

The European House - Ambrosetti indaga criticità e opportunità della sostenibilità

Una ricerca presentata dalla società di consulenza The European House - Ambrosetti al Venice Sustainable Fashion Forum mette in luce criticità e opportunità della sostenibilità nel settore moda.

Di fatto - come premettono i ricercatori - mancano dati univoci sugli impatti ambientali e sociali del settore moda ed è possibile basarsi su stime che producono risultati molto diversi fra loro. Per esempio, le emissioni di CO2 del settore oscillano fra il 2% e l’8,1% delle emissioni globali. Sul fronte consumi idrici si va da una stima di 215 miliardi di metri cubi a 79 miliardi. Nel caso specifico dei consumi per un paio di jeans l’intervallo è ampissimo: 20.000-3.781 litri.

Tenendo conto dei dati europei, però, ne risulta che il 75% delle esternalità negative è prodotto fuori dall’Unione europea.

Per quanto riguarda l’aspetto sociale, si stima che gli addetti nel mondo siano tra 60 e 75 milioni, la maggior parte dei quali in Paesi in via di sviluppo dove sono presenti disuguaglianze, fenomeni di lavoro minorile, sfruttamento e condizioni di lavoro insalubri o pericolose.

L’Ue sta spingendo verso la sostenibilità con l’introduzione di strumenti obbligatori e volontari con l’obiettivo di standardizzare la misurazione della sostenibilità di imprese e prodotti e aumentare il livello di trasparenza. Gli oltre 600 rating Esg disponibili sul mercato non stanno producendo i cambiamenti sperati, «complice il fatto - dicono gli analisti - che i consumatori sembrano poco propensi a sostenere da soli il peso di comportamenti di acquisto responsabile dal punto di vista ambientale e sociale».

Una ricerca su 19mila consumatori rivela infatti che l’80% è preoccupato per la sostenibilità ma solo una quota tra l’1% e il 7% ha comprato prodotti con prezzo maggiorato perché sostenibili: l’interesse alla sostenibilità è 24 volte maggiore della disponibilità a pagare per averla.

Da un’indagine di The European House – Ambrosetti su 167 aziende della filiera italiana della moda risulta che, all’aumentare delle dimensioni, crescono gli impegni sul fronte gestione della sostenibilità, specie in termini di monitoraggio delle performance, inclusione nello staff di persone dedicate, ottenimento di certificazioni, rendicontazione e valutazione dei diritti umani a livello di fornitura.

L’80% degli attori della filiera, in base alle statistiche, dice di ricevere pressioni dai brand per l’adozione di strategie di sostenibilità e le stesse pressioni inducono il 53% delle aziende a certificare prodotti e processi. La pressione finanziaria, invece, non è percepita come un fattore trainante per la transizione sostenibile, nemmeno per le grandi aziende. Le pressioni dalle banche, invece, hanno triplicato la propensione delle aziende a pubblicare un bilancio di sostenibilità.

The European House – Ambrosetti consiglia una serie di azioni. In primis l’adozione anticipata degli strumenti volontari e obbligatori che l’Ue sta introducendo in materia.

I singoli governi dovrebbero definire un’agenda annuale identificando priorità, attori e linee di azione orientando i finanziamenti pubblici verso le Pmi e favorendo partnership con le istituzioni finanziarie private.

Sono auspicate poi alleanze tra diversi attori della filiera, perché fare da soli non sarà più sufficiente.

Per rendere possibile la generazione di dati omogenei e condivisibili sarebbe opportuno realizzare un osservatorio permanente, realizzato in collaborazione con le associazioni di categoria e le aziende.

Sarebbe utile inoltre un’apertura all’esterno con eventi dedicati, per promuovere un cambiamento culturale che traduca la preoccupazione per l’ambiente in comportamenti coerenti da parte dei consumatori.

Infine, per facilitare la transizione sostenibile, le imprese del lusso, note avanguardie, dovrebbero fare sistema e dettare l’agenda nei tavoli di lavoro europei e internazionali.

e.f.
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