È un momento di grande riorganizzazione nella finanza italiana, private equity compreso, che non perde di vista le imprese della moda. «Il covid ha portato a galla problemi già latenti, ora farà la differenza la capacità di gestire il cambiamento», ha dichiarato Andrea Ottaviano, ceo di Clessidra Sgr (Italmobiliare), alla Virtual ceo roundtable di Fashion e fashionmagazine.it, moderata in mattinata dal direttore e ceo Marc Sondermann.
«I capitali ci sono - ha proseguito - ma bisogna capire l’ottica imprenditoriale che si va a supportare. In ogni caso, quando si sigla un’intesa con un’azienda, c’è di base un accordo al cambiamento, che implica l’apertura a singole persone o gruppi, pronti ad aggiungersi all’organizzazione, per aiutare nella managerializzazione».
Che criteri deve soddisfare, una realtà della moda, per essere appetibile agli occhi del private equity? «Per prima cosa - ha risposto Ottaviano - deve vantare una leadership in una specifica categoria di prodotto, per esempio eccellere nel pantalone o nel capospalla. Secondo: deve essere già presente in uno o più mercati geografici. Inoltre deve mostrare la capacità di andare online».
Alla domanda «Quale dimensione vi interessa di più?» il ceo di Clessidra ha dichiarato: «Le aziende devono essere sufficientemente grandi per sostenere il cambiamento ed essere in grado di attrarre talenti. Sopra i 50 milioni di euro di fatturato e verso i 100 è il momento critico in cui sono in grado di attrarli, non hanno problemi a livello di produzione ma nella crescita a livello commerciale».
Il problema infatti è capire dove vanno i prodotti nel mondo: «Bisogna fare un mix molto selettivo di wholesale e retail diretto e tenere presente che non esiste la globalizzazione dei consumi. I gusti contano tantissimo, le diverse culture dei consumatori richiedono prodotti diversi: i grandi brand gestiscono queste complessità in modo efficiente, quelli sotto i 100 milioni non sono in grado. Occorre andare dove sei più attraente: inutile vendere 100 piumini a Marrakesh».
L’altro tema scottante, specie di questi tempi di pandemia, è il contenimento dei costi. Con Ottaviano si è discusso di costi fissi onerosi come quelli per la prototipia: «Il campionario è uno strumento di vendita importante ma talvolta si è visto che, riducendo le repliche e l’ampiezza dell’offerta, non si hanno impatti negativi sulle vendite al dettaglio. Un campionario vasto riflette quasi più un’insicurezza del brand, che un interesse effettivo del consumatore».
Ma anche i fondi maggiori sono affamati di made in Italy? «Più che altro – ha risposto Ottaviano in chiusura - sono affamati di progetti ben costruiti, che presentano un modello di business chiaro e razionale».