Nelle ultime settimane si è parlato tanto di
Marco Gobbetti, in occasione della sua futura nomina ad amministratore delegato e direttore generale di
Salvatore Ferragamo e della pubblicazione, qualche giorno fa, della trimestrale di
Burberry, di cui resterà ceo fino a fine anno.
Un esercizio chiuso con numeri più che positivi, tra cui un fatturato di 479 milioni di sterline (+86%, o +90% a parità di perimetro distributivo) e un incremento delle vendite a prezzo pieno del 121% sul 2020 e del 26% rispetto ai livelli pre-pandemia. Performance alimentate dal crescente interesse dei giovani per un brand che ha saputo, negli ultimi anni, innestare una nuova freschezza sull'heritage.
Il sito americano
wwd.com ha intervistato Gobbetti in occasione della recente apertura del monomarca londinese di Burberry in Sloane street: un flagship di circa 920 metri quadri su tre piani, il cui concept è frutto dell'intesa tra il direttore creativo,
Riccardo Tisci, e l'architetto
Vincenzo De Cotiis.
«Questo spazio è come un ritratto - commenta il manager - che abbraccia il passato e il presente del marchio, per delineare un futuro in cui si amalgamano dettagli rassicuranti e prospettive inattese. Burberry è un brand che, grazie al suo heritage incredibile, si basa non tanto sui trend, quanto su prodotti e icone».
Altri tre store sono in dirittura d'arrivo nei prossimi mesi, al
Plaza 66 di Shanghai, in rue Saint-Honoré a Parigi e di nuovo nella capitale britannica, in Bond street.
Gobbetti sta dunque raccogliendo i frutti di un incarico che ha tenuto per due anni, tenendo salde le redini di Burberry anche nelle fasi più difficili della pandemia.
«Abbiamo completato la prima fase della trasformazione della griffe e il nostro team ha mostrato un'energia incredibile. Questa è la base per guardare avanti, con una motivazione ancora più alta, scrivendo un ulteriore capitolo di successo», afferma, sicuro di lasciare la casa di moda inglese in buone mani e pronto ad aprire un nuovo capitolo del suo percorso professionale e personale, senza troppi rimpianti.
«Ho trascorso una gran parte della mia vita adulta fuori dall'Italia - prosegue - soprattutto in America, Francia e Gran Bretagna. Non sono stato vicino alla mia famiglia per un po' ma, al di là di questo, voglio provare a dare il mio contributo a Salvatore Ferragamo nel contesto di un Paese, come l'Italia, che sta mostrando un grande impegno per ripartire».
Si romperà così il sodalizio con Tisci, iniziato ai tempi di
Givenchy: «Il nostro rapporto è ottimo, ma sopravviveremo anche separati - scherza Gobbetti -. Riccardo è maturato, diventando un grande designer e un altrettanto grande direttore creativo».
Grazie all'interpretazione del mondo Burberry da parte dello stilista, la griffe si è aperta al dialogo con gli under 35, amplificato dai social.
«All'inizio della mia carriera - dice il ceo - la moda e il lusso erano per pochi. Adesso invece sono accessibili a tutti: stiamo attraversando un cambiamento epocale. Burberry stesso ha arricchito il proprio dna con una nuova coscienza sociale e la tensione a veicolare i propri valori al consumatore».
In quest'ottica si inserisce l'operato della
Burberry Foundation, che lo scorso autunno ha stretto una partnership con
Marcus Rashford, attaccante del
Manchester United e della nazionale inglese di calcio, impegnato in una campagna contro la povertà soprattutto di bambini e giovani.
Rashford è stato anche immortalato da
Rafael Pavarotti in una campagna di Burberry e dai post che ne sono derivati è scaturito un engagement senza precedenti per la griffe, che tra l'altro durante i lunghi mesi del Covid ha sostenuto la sperimentazione sul vaccino
AstraZeneca, supportato gli ospedali, prodotto camici e mascherine per il
National Health Service e fatto donazioni, rifiutando peraltro i sostegni messi a disposizione dal Governo e procedendo alla riduzione volontaria degli stipendi dei vertici.
In parallelo, nel momento in cui i mercati hanno cominciato ad aprirsi, Burberry ha allestito eventi pop up, investito in digital marketing e avviato un concept store con
Tencent a Shanghai.
«Siamo animali adattabili - conclude Gobbetti - e la pandemia ci ha costretti a considerare di più la gente intorno a noi e ad aiutarla. È stata anche un acceleratore per il lusso: prima era in qualche modo statico, ma ora non è più tempo di stare fermi».
A cura della redazione