ceo roundtable on digital excellence

Tecnologia, ma anche social e storytelling: al cliente interessa il dietro le quinte

Puntare il timone sulla crescita dopo lo choc della pandemia: come? Le risposte alla domanda del nostro direttore Marc Sondermann sono arrivate dal secondo panel della nostra Ceo Roundtable on Digital Excellence, a cui sono intervenuti Elisabetta Franchi (president & owner di Betty Blue), Alberto Racca (ceo del Gruppo Miroglio), Mario Davalli (country manager Southern Europe di Cegid) e Simone Mancini (ceo di Scalapay).

Quattro testimonianze tra moda, imprenditorialità e tecnologia, per arrivare a una conclusione: che oggi, ancora più di ieri, è fondamentale raccontarsi al consumatore con sincerità e capacità di coinvolgimento, destinandogli sia nell'e-commerce sia soprattutto nei punti vendita fisici, che hanno ancora molte carte da giocare per rimettersi in carreggiata, esperienze uniche, un servizio senza sbavature e formule di pagamento user friendly.

A prendere la parola per prima è stata Elisabetta Franchi, artefice dell'omonimo marchio e imprenditrice sui generis: una donna che ha costruito pezzo per pezzo la sua azienda e che, comunicando la propria autenticità anche attraverso i social, ha un seguito di due milioni e mezzo di follower su Instagram

«Persone, donne ma anche tanti uomini, che premiano la mia verità - ha detto - perché la gente ha voglia di parlare con l'imprenditore o il direttore creativo, accorciando le distanze. Il fotoshop non basta». Franchi ha tirato le somme di un 2020 chiuso con un -25% di ricavi, ma anche di un 2021 che segna già un +37%, con un ebitda al 21%.

«L'irrompere della pandemia nelle nostre vite e nelle nostre attività - ha osservato - ci ha in un primo momento destabilizzati, poi però ha prevalso la necessità di capire come agire lucidamente sul business. La moda era una macchina che correva ad altissima velocità, il che non permetteva di vedere cosa si potesse migliorare e dove ci si sbagliava. Tutti abbiamo dovuto fermarci, senza aspettare gli aiuti dall'alto che non arrivavano. Abbiamo contato sulla nostra filiera pazzesca (non dimentichiamo che tutti i brand del lusso producono da noi), di cui nel 2020 si è parlato troppo poco, e ci siamo coalizzati per far fronte insieme alla tragedia dei negozi colpiti dalle chiusure: per quanto mi riguarda, sto parlando di 1.500 boutique nel wholesale e 85 monomarca».

Il mantra di Elisabetta Franchi è seguire la ragione ma anche l'istinto, che l'ha portata per esempio a flirtare con i fondi, per poi fare un passo indietro, e a non cedere alle lusinghe dello sbarco in Borsa: «Mi autofinanzio, non ho debiti con le banche, ho una crescita pulita. Per ora bene così, il che non significa che non pensi al futuro della mia azienda».

A livello di prodotto, il suo core business sono gli abiti per uscire e per le occasioni, integrati da  accessori (un 20% dell'offerta) sulla stessa lunghezza d'onda. Questo a prescindere dai trend del momento: «Parto dal presupposto che la moda è interazione - spiega -. Se vedo un vestito che mi piace, lo "punto" e voglio sapere dove comprarlo. Il luogo dell'acquisto, e mi riferisco ai negozi fisici benché il mio e-commerce valga il 12% dei ricavi e sia cresciuto del 25% tra il 2019 e il 2020, non può che essere esperienziale e ricco di emozioni da comunicare, per lo meno quando si parla di un target piuttosto alto come è il mio. Il digitale andrà avanti ma per le realtà del "medio lusso" le boutique fisiche continueranno ad avere un motivo di esistere, anche perché siamo innanzitutto esseri umani».

Mauro Davalli di Cegid, che insegna ai brand del lusso come gestire la trasformazione digitale anche attraverso soluzioni avanzate di unified commerce, si è riallacciato alle considerazioni di Elisabetta Franchi sui negozi, mettendo al centro della sua testimonianza l'importanza di una gestione corretta degli stock. 

«Il cliente - ha affermato - deve trovare instore tutto quello che cerca e in tempi veloci. Lo stock disponibile in tempo reale evita di perdere vendite, così come è fondamentale il Crm: è necessario che tutti i dati presenti in azienda arrivino direttamente ai sales assistant. Questi ultimi devono avere in mano gli stessi strumenti utilizzati dai clienti, collegandosi ai social e alle loro piattaforme di riferimento. In altri termini, oggi il sales assistant non va valutato solo per ciò che ha venduto ma per quello che sta dietro, la capacità di andare a cercare i clienti a casa loro, nel senso più ampio del termine».

Se un tempo le vendite erano "usual", attualmente si impone il modello "unusual", come ha puntualizzato Davalli, concludendo il proprio intervento con un accenno alle strategie di internazionalizzazione di Cegid. 

«Di base quello che va bene in un mercato può non funzionare in un altro - ha sottolineato -. Questo si è visto anche attraverso gli andamenti diversificati durante la pandemia, in cui Paesi come Cina, dove stiamo affiancando circa 200 brand, e Corea si sono tenuti a galla e hanno fatto anche di più. La Cina, in particolare, con i suoi 1,4 miliardi di consumatori, presenta tuttora grandi opportunità: si calcola che, se ora il 20% del mercato mondiale del lusso è in questo Paese, nel 2024 si salirà al 30%. Un emblema del boom cinese è WeChat, un vero ecosistema dove i marchi possono fare praticamente di tutto, dal condividere marketplace al realizzare sfilate, fino a organizzare appuntamenti one to one instore e molto altro».

Per lavorare in Cina «occorre puntare sui giusti strumenti di pagamento, perché solo il 13% dei cinesi usa ancora i contanti, mentre vanno per la maggiore l'utilizzo di QR Code e formule come il pay by link».

Era il gennaio 2020 quando Alberto Racca veniva nominato amministratore delegato del Gruppo Miroglio: poco più di un mese dopo l'emergenza virus avrebbe travolto tutti, sottoponendo anche una realtà come questa, che viaggia sul mezzo miliardo di euro di fatturato, a uno stress test non indifferente.

«Fino a quel momento eravamo abituati a prenderci tempi abbastanza lunghi e a guardare più lo specchietto retrovisore che il parabrezza - ha esordito Racca -. Ora stiamo modificando radicalmente l’approccio, da "inside out" a "outside in", rendendo meno "feudale" l'organizzazione e snellendola, secondo la regola meno persone al comando ma più motivazione, e tenendo in considerazione le idee dal basso: in quest'ottica ho creato uno "shadow board" aziendale, composto da dieci giovani smart e motivati».

«Io e i miei collaboratori cerchiamo inoltre di imparare costantemente dai dati, online e offline - ha proseguito - e devo dire che chi mi tiene maggiormente allenato sono gli addetti dei negozi, che visito costantemente e che sono una miniera di spunti e informazioni. Proprio sulla forza vendita stiamo investendo attraverso un programma di upskilling, integrato con il Crm, in modo da essere sempre più rilevanti nella relazione con il cliente. In sintesi, dall'interazione tra fattore umano e tecnologia scaturiscono i risultati migliori».

Di ritorno dall'Australia, Simone Mancini ha portato infine alla ribalta la success story di Scalapay, costruita sulla formula "Buy now, pay later", che ha conquistato sia i consumatori che i brand, anche del lusso. «Lo strumento di pagamento che abbiamo creato - ha chiarito Mancini - non è quello che sembra al primo sguardo. Due anni fa alcuni marchi obiettavano che i loro clienti non sentivano la necessità di pagare a rate. Noi ribattevamo, e lo facciamo tuttora, che non si tratta di un finanziamento, ma di un modo di alleggerire l'impatto sul budget di un'esperienza piacevole, quale è l'acquisto».

Il manager ha ribadito che «stare vicino al cliente e sperimentare, anche in ambiti nuovi e in forte crescita come il second hand, è nel nostro dna. In quest'ottica ci avvaliamo di gruppi di clienti e merchant per sviluppare prodotti e approcci mirati al mercato. Riallacciandomi a quello che diceva Elisabetta Franchi, sono d'accordo sul fatto che al consumatore finale oggi, più che una vetrina pulita, interessa il dietro le quinte. Per esempio, uno strumento dal potenziale non ancora sfruttato fino in fondo sono i video, non solo a livello di contenuti ma anche di visibilità nelle piattaforme dei brand».

In altri termini, secondo Mancini, «il succo non è mostrare al meglio il prodotto, ma saperne raccontare la storia. L'ho sperimentato in prima persona quando, mentre vivevo in Australia, ho messo in vendita su eBay una macchinetta per il caffé, dedicando un'ora del mio tempo a spiegare ai possibili acquirenti la sua storia e il valore che aveva per me. Alla fine l'ho venduta a un prezzo tre volte maggiore rispetto a quello di una macchinetta nuova e questo ha rafforzato la mia convinzione: le persone cercano qualcosa di vero e su questo si può fare ancora molto».


a.b.
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