La preoccupazione c’è tra gli stand di Milano Unica, in corso a Fieramilano Rho fino al 6 febbraio, ma al momento è impossibile azzardare qualsiasi stima dei danni del coronavirus al business della moda. I timori riguardano gli effetti diretti ma soprattutto quelli indiretti, che colpiscono i brand acquirenti dei tessuti di alta gamma presenti in fiera.
«Alcuni nostri clienti giapponesi ed europei hanno shop nei mall cinesi, ma sembra che la curva di crescita dei contagi, dopo l’accelerazione iniziale, si stia stabilizzando - osserva Alessandro Barberis Canonico, amministratore delegato della Vitale Barberis Canonico, che colloca la Cina al secondo posto tra i maggiori mercati -. Saranno cruciali le prossime due-tre settimane, poi bisognerà capire la psicosi dei cinesi: è presumibile che ricomincino a fare shopping, ma di beni di prima necessità».
«Fa ben sperare il fatto che ai tempi della Sars ci fu un recupero veloce», fa notare l’imprenditore, fresco di nomina alla presidenza di Milano Unica.
Inoltre la ripresa dei consumi nella Repubblica Popolare potrebbe essere trainata dall'e-commerce, che cresce a un tasso di oltre il 20% nell'area. Il web permetterà di accorciare le distanze anche per gli espositori di Milano Unica coinvolti nel progetto e-Milanounica, il marketplace per il tessile e gli accessori tessili lanciato dal salone milanese un anno fa, che ora accoglie 167 aziende espositrici.
«Abbiamo una filiale in Cina, quindi siamo preoccupati per i dipendenti e la produzione, oltre che per l’andamento dei consumi», dichiara Paolo Torello Viera, ceo del Lanifico Cerruti, che realizza il 30% dei ricavi su quel mercato.
Di questa situazione, a suo parere, potrebbe beneficiare l’India ma se il virus dovesse diffondersi anche là, forse certe produzioni potrebbero tornare in Europa. «Di certo - prosegue il manager - quello che sta accadendo riporta i riflettori sul vero made in Italy: potrebbe trattarsi non dico di una rivincita, ma quasi di una resurrezione».
«La Cina ha un peso diretto e impatta sui clienti: temo l’effetto domino, che provoca un danno maggiore dell’entità vera e propria», ribatte Luca Trabaldo Togna, al vertice dell’azienda Trabaldo Togna, ricordando che il virus capita dopo i disastri ambientali in Australia e Amazzonia.
«Non si sa se tra un mese tutto sarà sotto controllo, ma se questa situazione dura sei mesi, il mondo intero rischia di saltare - afferma Andrea Crespi, direttore generale di Eurojersey e presidente del comitato sostenibilità di Smi-Sistema Moda Italia -. Forse è lo scotto da pagare di una globalizzazione la cui regola è la massimizzazione del profitto: un segnale importante dove, purtroppo, a rimetterci sono le persone».
«Auspichiamo che sia una fase momentanea da superare. Per quanto ci riguarda, l'emergenza non ha effetti diretti sul nostro business», dichiara Vasiliy Piacenza, brand manager della Fratelli Piacenza.
«Spero che il problema si risolva non tanto per l’economia ma per le persone - riflette Giorgio Todesco, che guida Marzotto Wool Manufacturing -. Per noi la vendita in Cina non è rilevante come per altre aziende tessili, ma i nostri clienti vendono molto nel territorio. Per il lusso francese è il primo mercato. L’impatto dipenderà da quanto tempo impiegheranno a trovare il vaccino».
«Non si sa - conclude - se bisognerà far passare sei mesi, come nel caso della Sars. Di certo allora la situazione economica allora era del tutto diversa».