Dopo cinque anni di crescita esponenziale

In Cina il lusso rallenta (-10%), ma il Covid non ferma lo shopping dei Vic

Dopo cinque anni di crescita esponenziale, il lusso in Cina rallenta, con vendite che nel 2022 hanno subito un -10%.

L’ultimo report di Bain & Company fotografa un mercato in contrazione, ma dinamico, tanto da prevedere un ritorno di condizioni positive entro il primo trimestre del 2023. Segno che i fondamentali del consumo nell’ex Celeste Impero sono ancora solidi, grazie soprattutto alla concentrazione di consumatori a medio e alto reddito: un cluster che raddoppierà entro il 2030.

Il 2022 è stato però un anno difficile: nonostante il forte slancio di inizio anno, dal secondo trimestre in poi i lockdown legati al Covid hanno ostacolato lo shopping cinese, insieme al calo del mercato immobiliare, all'aumento della disoccupazione e ai timori legati alla pandemia.

Come spiega il report, tutte le categorie del lusso sono state colpite, seppur in misura diversa. I segmenti con una forte presenza online sono stati meno impattati, e hanno messo a segno una performance leggermente migliore degli altri. Ne è un esempio il beauty di lusso – che vanta un grado di penetrazione dei canali digitali pari al 50% - in diminuzione “solo” del 6%.

Il mercato degli orologi ha registrato invece la flessione più marcata, con un crollo delle vendite del 20-25% rispetto all’anno precedente. Le categorie moda e lifestyle sono calate del 15-20%, mentre gioielleria e la pelletteria hanno ottenuto risultati leggermente migliori, con un -10-15%. 

«Nonostante la maggior parte dei brand in Cina abbia registrato un calo nel 2022 a causa delle condizioni difficili, altri sono cresciuti grazie a tre fattori vincenti: la dimensione, l’imprinting iconico e la maggiore concentrazione sui very important clients», ha precisato Claudia D’Arpizio, Senior Partner e responsabile globale moda & lusso di Bain & Company. 

A “salvare” lo shopping di lusso sono stati proprio i Vic: il rallentamento dell'economia ha colpito i consumatori di lusso entry-level, più che i clienti con un elevato patrimonio netto (Hnwi). Alcuni brand cinesi del lusso hanno ottenuto, attraverso la clientela altospendente, vendite superiori alla media globale del 40%, in particolar modo nei canali digitali.

Un ruolo di rilievo è stato giocato anche dall’eco-sistema duty-free. Negli ultimi anni, questo tipo di shopping ad Hainan ha contribuito al boom del mercato cinese del lusso, ma le restrizioni legate alla pandemia hanno causato una contrazione delle vendite del 30%, portando i volumi a quota 35 miliardi di Rmb.

La flessione è stata parzialmente attutita da un aumento dell'8% della spesa per cliente. Nel frattempo, il China Duty Free Group (Cdfg) ha spinto in modo aggressivo sulle opzioni di e-commerce domestico per compensare i cali causati dalla limitazione dei viaggi aerei.

Il duty-paid ha rappresentato circa il 40% delle entrate del gruppo nella prima metà del 2022. Un’attività che tuttavia, per i brand del lusso, rende più difficile armonizzare i prezzi tra i vari canali, portando addirittura a un gap del 60-70% per alcuni marchi leader nel beauty.

Come spiega lo studio, nel breve-medio termine questa scelta potrebbe svalutare alcuni dei prodotti di questi brand. Inoltre, le visite in Corea del Sud nel 2022 sono diminuite del 90% rispetto all’era pre-pandemica, ma le vendite sono rimaste a circa il 70% del livello del 2019. Ciò suggerisce una significativa attività di esportazione transfrontaliera, con il mercato duty-free della Corea del Sud che continuerà a svolgere un ruolo importante nel più ampio ecosistema del beauty di lusso in Cina.

«Dalla chiusura delle frontiere cinesi nel 2020, la maggior parte dei brand non ha cercato di armonizzare i prezzi tra la Cina e il resto del mondo – commenta Federica Levato, Senior Partner e Emea Leader Moda & Lusso di Bain & Company -. Solo pochi marchi hanno mantenuto strategie di prezzo globali durante gli anni della pandemia. Il gap di prezzo per le calzature è stato significativo (25-35%), mentre gioielli e orologi sono stati meno impattati, poiché molti di questi marchi hanno adottato strategie di prezzo globali anni fa e le hanno mantenute, nonostante la chiusura delle frontiere».

a.t.
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