Affollata conferenza stampa stamattina nella sede milanese di Confindustria Moda, in occasione della presentazione del libro Lo Stato della Moda, che offre uno spaccato sull'industria italiana del settore, compresi il tessile e gli accessori, rapportata all'economia nazionale, europea e mondiale, con approfondimenti sulle singole merceologie, i prodotti vincenti per saldo commerciale, le classifiche dei Paesi di destinazione, l'andamento dei consumi finali, il commercio con l'estero, le prospettive di crescita da qui al 2023 e molto altro.
Sfogliando il volume, si scopre per esempio che in Italia il cosiddetto "TMA" (che include tessile, abbigliamento, pellicce, concia, pelletteria e calzature) è quarto comparto industriale per valore aggiunto, dopo metallurgia e prodotti in metallo, macchinari e apparecchiature, alimentari, bevande e tabacco.
Non solo. La Penisola è prima per valore aggiunto lordo generato dalle realtà del TMA all'interno dell'Unione Europea, con un valore di 23,8 miliardi di euro e una quota superiore a un terzo del valore complessivo del settore nel nostro continente.
Nel nostro Paese il TMA, tra l'altro, è secondo solo a metallurgia e prodotti in metallo per numero di occupati, con mezzo milione di addetti. Continua inoltre a progredire a livello internazionale per export e saldo commerciale.
Sono solo alcune delle numerose informazioni raccolte nel libro, i cui presupposti sono stati illustrati oggi da Claudio Marenzi (presidente di Confindustria Moda e autore della prefazione de Lo Stato della Moda, intitolata L'orgoglio del bello) insieme alla giornalista Paola Bottelli e al sociologo Francesco Morace, che hanno scritto a proposito de Il valore irripetibile della filiera e un'Alta risoluzione per il sistema Italia).
«Siamo la filiera più virtuosa del mondo e questo va comunicato - ha detto Marenzi -. Dobbiamo però volerci più bene e promuovere tutti insieme, facendo squadra con il governo, le istituzioni e la stampa, un settore che anche nel 2018, secondo le stime di Confindustria Moda, è cresciuto, superando i 95 miliardi di euro».
«Le griffe, i blogger e gli influencer sono la punta dell'iceberg di un settore che ha un peso direi colossale sull'economia italiana - ha aggiunto Paola Bottelli -. Non a caso, molti dei marchi del lusso stranieri, a partire da francesi e americani, vengono a produrre qui. Peccato che non si insista mai abbastanza sulla formazione: oggi le superstar sono gli chef e i giovani li vogliono imitare. Sarebbe bello se ci fosse lo stesso entusiasmo verso le professioni della moda, soprattutto quelle dietro le quinte, ma importantissime per il futuro delle nostre manifatture».
«Non dobbiamo giocare solo in difesa ma anche all'attacco - ha aggiunto Francesco Morace -. Mentre la pervasività del digitale è all'insegna di una bassa risoluzione, ossia di una velocità che nella moda si traduce in fast fashion, il made in Italy deve puntare sull'alta risoluzione, che significa personalizzazione, elevata qualità di fattura e approfondimento del saper fare».
Nel volume Morace, riallacciandosi alle parole di Paola Bottelli, scrive che «in futuro avremo sempre più bisogno di "facitori italici": designer e prototipisti, merchandiser e artigiani, in grado di proporre una nuova esperienza di vita, andando a recuperare gli elementi presenti nel dna del made in Italy».