Le capitali della moda come Milano, Roma e Parigi riaprono ma devono far fronte a una nuova realtà, a partire dall'assenza di turisti, che impone di conquistare i consumatori locali.
Sintomatico è il caso del department store parigino Le Bon Marché, il più antico del mondo, di proprietà del gruppo del lusso Lvmh (nella foto). Come riporta il Financial Times, normalmente ha 12 sportelli aperti per il tax refund dei turisti, all'ultimo piano, ma la scorsa settimana la sola persona addetta a questo servizio ha dichiarato di essersi occupata di tre rimborsi in un giorno.
Il problema è che in Europa due terzi degli acquisti delle griffe avviene da parte dei turisti cinesi, attualmente assenti, e che difficilmente ritorneranno presto. I brand si trovano quindi a dover far riferimento alla clientela locale, mentre cercano di capire quali segni ha lasciato l'emergenza sanitaria sulla propensione al consumo e le preferenze.
«La normalità al momento rimane in un orizzonte lontano», ha detto al Financial Times Remo Ruffini, presidente e amministratore di Moncler. «Quando il business usuale non è possibile è il momento perfetto per riformulare una nuova normalità» ha aggiunto, parlando di attività come potenziare il digitale, ridisegnare la rete di vendita al dettaglio, stabilire un rapporto più stretto e più favorevole con la catena di approvvigionamento, inventare nuovi modi di presentare e vendere le collezioni e riconsiderare l'interazione con i clienti.
Tuttavia non si può cambiare il business in toto. «L'industria della moda – spiega Ruffini - è molto fisica, abbiamo bisogno di designer, sarti, tessuti: non tutto può essere gestito da remoto».
Per rianimare gli acquisti e sfoltire il magazzino la nuova regola del gioco sono gli sconti, secondo Claudia D'Arpizio, esperta del settore lusso presso Bain & Co., mentre Luca Solca, analista di Bernstein, prospetta «la madre di tutte le vendite di fine stagione».
Le Bon Marché ha messo in vendita le giacche di Isabel Marant e i mocassini Tod's con prezzi già da ora ridotti del 40%. Altri marchi come Chanel e Louis Vuitton, al contrario, hanno aumentato alcuni prezzi dal 5% al 17%, per tenere conto dei maggiori costi e proteggere i margini.
Con le chiusure degli store fisici arrivano inoltre segnali di un'espansione delle vendite online di lusso, nonostante i dubbi ricorrenti sul come replicare nel virtuale la shopping experience di fascia alta. Un sondaggio condotto da McKinsey su 1.000 clienti di lusso negli Stati Uniti e in Europa ha mostrato che il 24% ha acquistato online per la prima volta, mentre i negozi erano chiusi, e il 76% ha giudicato l'esperienza positiva.
Allo stesso tempo Londra, Parigi e Milano stanno preparando le rispettive settimane della moda virtuali fra giugno e luglio. «La logica alla base della fashion week online è che bisogna sostenere la supply chain - afferma Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana -. Dobbiamo lanciare una campagna di vendita, per assicurarci che arrivino gli ordini».
In questi giorni il gruppo Kering, che controlla marchi come Gucci e Ysl, ha fatto sapere che i segnali della prima settimana dopo il blocco in Francia sono incoraggianti. «Il traffico nei negozi è stato più elevato di quanto ci aspettassimo e più clienti stanno acquistando, il che è indicativo della forza e della lealtà della nostra clientela locale», hanno dichiarato dalla società.
Moncler, Lvmh e lo stesso Kering hanno segnalato una forte domanda in Cina, da quando i negozi hanno iniziato a riaprire nell'area, a fine marzo. Burberry ha parlato di rimbalzo delle vendite cinesi nelle ultime settimane, ma pochi del settore prevedono una rapida ripresa. Richemont ipotizza «gravi conseguenze economiche», che potrebbero durare fino a tre anni.
Gli analisti di Hsbc hanno previsto che le vendite di lusso diminuiranno del 17% quest'anno. Il rimpatrio delle vendite potrebbe portare i marchi a riconsiderare le location e le dimensioni dei negozi alla scadenza dei contratti di locazione. Gli esperti profilano meno store in Europa e più in Cina.
Per Ruffini il rischio più grande di un'azienda ora è fare scelte che vadano a danneggiare la percezione del marchio, nel tentativo di recuperare i ricavi. «Non Moncler - dichiara -. Non sono disposto a rendere una visione a lungo termine ostaggio di una mentalità di breve termine».