Le private label sono il futuro dei department store di lusso? Dati alla mano, la risposta è (probabilmente) sì. L'International Association of Department Stores-Iads, ovvero le realtà che riunisce una dozzina di insegne in tutto il mondo tra cui El Corte Inglés e Galeries Lafayette ha calcolato che tra il 2019 e il 2022 il business delle etichette lanciate internamente dai department store è passato in media dal 9% al 16% sull’incidenza delle loro vendite totali.
Per i grandi magazzini, molti dei quali hanno sofferto in pandemia per l’assenza di clientela straniera, lo sviluppo e l'evoluzione dei propri home brand è strategico non solo per migliorare la redditività, ma anche per elevare la propria immagine agli occhi dei clienti ricorrenti.
Tra le best practice citate da Iads c’è El Corte Inglés, che si sta concentrando sulle privale label Sfera e Unit, rivolte a un pubblico giovane, per trasformarle in veri e propri brand. La tattica di Galeries Lafayette è implementare gli investimenti su specifiche categorie merceologiche, come i prodotti per la casa o segmenti monoprodotto, dal cashmere alla camiceria da uomo.
Proprio come i marchi che distribuiscono, i grandi magazzini hanno dovuto affrontare pressioni nella fornitura di prodotti nel 2022, compresi ritardi nelle consegne. A marzo 2022 il 70% dei punti vendita aveva ricevuto la propria collezione primavera-estate, rispetto al 90% del 2019. Per la stagione successiva sono intervenute riorganizzazioni, con pre-prenotazioni dei materiali più a monte, e una riduzione della dipendenza dalla Cina a vantaggio dei Paesi del Sud-Est asiatico (+6%) e dell'area Euromed (+1,5%), che hanno registrato una timida ripresa.
Secondo l’analisi condotta dall’associazione, presso la maggior parte dei grandi magazzini è in atto un upgrading dei marchi propri. «Per mantenere margini duraturi - si legge nel comunicato - i prezzi al dettaglio dei marchi di proprietà dei distributori hanno seguito la curva dell'inflazione. Questo ha aperto il dibattito sulla necessità di posizionarsi in un segmento di fascia alta per giustificare i nuovi prezzi». Le motivazioni differiscono da una catena all'altra: «Alcuni grandi magazzini lo vedono come un modo per far concorrenza ai marchi internazionali, mentre altri competono con i brand nel segmento dei capi basic di alta qualità».
Di quest’ultima strategia di posizionamento è un esempio negli Stati Uniti Target, dove il prezzo non è più il fattore principale per i clienti quando acquistano le private label, superato da qualità e rapporto qualità-prezzo.
Inoltre la ricerca sostiene che la premiumizzazione del marchio paga: alti tassi di sconto, infatti, sembrano non aver migliorato il sell-through. In altre parole, il target point non è un argomento di vendita per le private label così importante, come si credeva inizialmente. Infatti tra le etichette private dei membri Iads sembra che quelle con i margini lordi più elevati abbiano tassi di vendita migliori.
Ma anche se il business delle private label promette di essere un driver di crescita per i department store, ancora molti punti critici devono essere risolti. Il principale è come i retailer possono riuscire a creare una forte identità di marca introno ai loro prodotti senza dedicare troppe spese generali e risorse.
Infatti, a differenza di Marks & Spencer, uno dei casi aziendali analizzati dalla Iads Academy, non tutti i department store hanno un marchio del distributore omonimo. Inoltre, ed è il caso di Target, promuovere la consapevolezza del proprio home brand ha coinciso con l'apertura di shop-in-shop e la conduzione di campagne pubblicitarie: operazioni costose, che non tutti i grandi magazzini si possono permettere.
I membri di Iads sono Centro Beco (Venezuela), Beijing Hualian Group (Cina), Breuninger (Germania), El Corte Inglés (Spagna), El Palacio de Hierro (Messico), Galeries Lafayette (Francia), Lifestyle International Holding (Hong Kong), Magasin du Nord (Danimarca), Manor (Svizzera), The Mall (Thailandia), Sm Store (Filippine).