Un rapporto di Walk Free Foundation

Lavoro forzato: il lusso non riesce a proteggersi dai rischi nella supply chain

Walk Free Foundation, organizzazione globale che si occupa di contrastare le moderne forme di schiavitù nel mondo, ha pubblicato il Global Slavery Index 2023. Come riporta wwd.com, il report evidenzia che il lusso non riesce a proteggersi dagli abusi nella catena di approvvigionamento.

L'indice ha inglobato migliaia di informazioni raccolte attraverso indagini rappresentative a livello nazionale in 75 Paesi (il precedente era stato pubblicato nel 2018, dopo le stime sulla schiavitù moderna da parte dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro).

«Gli indumenti sono un prodotto “a rischio” nelle importazioni di quasi tutti i Paesi del G20», ha dichiarato Elise Gordon, responsabile della ricerca globale di Walk Free, in merito ai risultati generali.

Stando a una stima prudente, sono stati spesi circa 147,9 miliardi di dollari per importare capi di abbigliamento a rischio in 18 Paesi del G20, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Messico, Francia e Italia. Anche i prodotti tessili sono coinvolti. Secondo il report rappresentano circa 12,7 miliardi di dollari di importazioni e risultano tra i primi cinque prodotti più “a rischio”, nelle importazioni di 13 nazioni (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Canada, Messico, Germania, Brasile, Argentina, Australia, Indonesia, Giappone e Russia).

«L'industria dell'abbigliamento ha raddoppiato le sue dimensioni negli ultimi 15 anni circa, e questo è guidato dalla domanda di fast fashion - ha detto Gordon -. Sappiamo che il rischio è presente lungo tutta la catena di fornitura: dalla produzione della seta o del cotone, alla produzione, fino all'imballaggio e alla consegna dei prodotti».

«La nostra analisi - ha aggiunto l’esperta - ha rilevato che, nella maggior parte delle metriche, i marchi di lusso sono stati superati da altri marchi. È un'idea comune errata che i marchi costosi producano prodotti più etici. Purtroppo non sappiamo perché sia così. È estremamente deludente, perché ci si aspetterebbe una maggiore propensione da parte dei marchi del lusso, avendo maggiori risorse da destinare ai meccanismi di protezione dei lavoratori, nelle loro catene di approvvigionamento. Potenzialmente c'è anche un maggior rischio reputazionale per questi marchi di lusso».

L'indice 2023 si basa su precedenti approfondimenti dell'organizzazione. Nel dicembre 2022, Walk Free e WikiRate (una piattaforma open-data che misura le informazioni ESG pubbliche) hanno valutato 97 dichiarazioni presentate dalle principali aziende di abbigliamento e dai loro investitori, tenuti a riferire in base alle leggi sulla schiavitù moderna di Regno Unito e Australia. L'analisi ha rilevato che i marchi non hanno rispettato i requisiti della legislazione e hanno «ampiamente fallito», nell'affrontare i rischi specifici della schiavitù moderna, associati al settore dell'abbigliamento.

La coltivazione di bozzoli di seta, ad esempio, è stata associata al lavoro forzato in Uzbekistan, mentre in Myanmar i bambini sono costretti a lavorare nelle piantagioni di gomma. Cotone contaminato è stato rilevato in Benin, Burkina Faso, Cina, Kazakistan, Pakistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.

Solo il 29% delle aziende valutate si è impegnato a garantire un salario di sussistenza ai lavoratori della propria catena di approvvigionamento. Utilizzando i dati a livello di fabbrica (59 fabbriche) dell'organizzazione no-profit per i diritti dei lavoratori Clean Clothes Campaign, Walk Free ha valutato il divario salariale tra i maggiori player della moda. Quello dei lavoratori legati ai marchi di lusso è risultato "significativamente più alto" (53%) rispetto ai brand non di lusso (38%). Ciò significa che i lavoratori, in media, devono guadagnare dal 40% al 53% in più, per soddisfare le loro esigenze di base.

Ora Walk Free chiede una regolamentazione più severa, in linea con quella della legge tedesca (il Supply Chain Due Diligence Act), che impegna le grandi aziende locali a garantire il rispetto di requisiti etico, sociali e ambientali nell’ambito delle loro attività, oltre che lungo tutta la supply chain, e che prevede multe fino al 2% del fatturato annuo di un'azienda, in caso di violazioni del lavoro.

Solo Australia, Francia, Germania e Norvegia dal 2018 hanno introdotto leggi obbligatorie sulla due diligence dei diritti umani o sulla schiavitù moderna. «Abbiamo bisogno di vedere un cambiamento ampio e rapido nelle pratiche attuali delle aziende», ha concluso Gordon.
e.f.
stats