Riccardo Sciutto (group ceo di Sergio Rossi), Roberto Tribioli (ceo di Patrizia Pepe), Mario Davalli (country manager di Cegid Italia) e Arcangelo D'Onofrio (ceo di Temera) si sono confrontati nel terzo panel della nostra Virtual Ceo Roundtable sul tema Come realizzare il pieno potenziale dall'omnichannel, anche se i loro discorsi hanno toccato tematiche più ampie.
Intervistati dal nostro direttore e ceo Marc Sondermann, hanno infatti spaziato tra diversi argomenti, a partire dall'importanza di una struttura forte e compatta per affrontare le difficili condizioni del mercato. «Poter contare su un'organizzazione produttiva centralizzata in questo momento fa la differenza - ha esordito Riccardo Sciutto -. Basarsi su fornitori sganciati dai propri canali è penalizzante. Avere un magazzino centrale e fabbriche che producono solo per noi ci rende più competitivi e capaci di rispondere alle esigenze del cliente».
Cliente che si aspetta dai negozi un'innovazione continua. «A maggio - ha raccontato Sciutto - abbiamo fatto un atto di coraggio, aprendo in Montenapoleone un monomarca omnicanale che garantisce agli estimatori del marchio Sergio Rossi un'esperienza fantastica da ogni punto di vista, a partire dalle consegne veloci, mirate e iper-personalizzate, garantite dal collegamento diretto con la fabbrica di produzione e dall'analisi continua del venduto».
«L'heritage - ha concluso Sciutto - non può che armonizzarsi con la già tanto citata innovazione, per la quale i nostri budget sono in aumento, mentre abbiamo dovuto tagliare negozi non più profittevoli. A volte, mentre sono in azienda, mi sembra di essere un ragazzo all'interno di un museo intoccabile, ma oltre alla grande storia c'è un grande dinamismo, perché tutto cambia e i ritmi tradizionali (sei mesi per la consegna, 120 passaggi per le scarpe, 24 ore per gli stivali) coesistono con nuove forme di progettazione. Per esempio, stiamo disegnando una collezione interamente in 3D, per la prima volta saltando il classico campionario, in modo da poterla vendere presto online. Quello che voglio dire è che la tecnologia e il saper fare devono avvicinarsi, trovarsi a metà strada: ci vuole un incontro tra l'apparente freddezza dell'high tech e il calore dell'artigianalità».
Ma tutte le distanze si accorciano. «Oggi - ha affermato il ceo di Sergio Rossi - il cliente mi scrive su Instagram chiedendo magari un colore diverso e non solo gli rispondo, ma inoltro le sue richieste ai miei designer. Il digitale ti fa toccare terra tutti i giorni».
Marc Sondermann ha poi passato la parola a Roberto Tribioli. L'amministratore delegato di Patrizia Pepe ha ribadito che «il Covid è stato un acceleratore di trend già esistenti, per esempio il cambiamento del ruolo dei negozi, che noi di Patrizia Pepe consideriamo degli hub soprattutto per le comunità locali e gli appassionati del brand. È sempre più importante creare comunità di loyal customer».
«Le persone - ha continuato Tribioli - si aspettano servizi omnichannel, ma va valutato cosa si intende con questo termine: solo il proprio e-commerce, il retail o anche le altre piattaforme? Di sicuro la forza vendita va resa partecipe di un'organizzazione omnicanale. Adottare poi sistemi e modalità strategiche per integrare centralmente gli stock è una sfida importante».
Non va poi tralasciato, secondo il ceo di Patrizia Pepe, un consumatore «che va compreso approfonditamente, con i cosiddetti top customer come testa di ponte, veri ambasciatori del marchio su misura dei quali sono state pensate le nostre boutique-hub. Tutti gli strumenti devono essere messi in campo per non perdere un prezioso filo diretto, dalla messaggistica alle newsletter. E voglio anche far notare che un progetto di contatto tra sales assistant e clientela, da noi attivato in pieno lockdown, ha avuto risultati oltre ogni aspettativa».
Mauro Davalli ha parlato a nome di Cegid, che crea soluzioni avanzate per la gestione aziendale ed è stata pioniera nell'adottare la tecnologia cloud nelle soluzioni retail. «Dal nostro osservatorio, composto da oltre 1.000 brand e 75mila negozi - ha informato - abbiamo notato una crescita del 3% degli scontrini nel luglio 2020 sull'analogo mese del 2019, con un valore dello scontrino medio aumentato. Gli ordini generati dal web sono balzati del 60% e alcuni settori sono stati avvantaggiati, in primis lo sportswear, che ha messo a segno un +14-15%».
Tre sono gli assi su cui i negozi devono investire, secondo Davalli: la digitalizzazione, seguendo passo passo le dinamiche e i passaggi del cliente nell'e-commerce; la gestione degli stock, non più segmentata ma unificata, in modo che quando una persona entra instore e chiede un prodotto l'addetto alla vendita sappia esattamente dove è questo prodotto, qual è la quantità disponibile, eventuali alternative e altre informazioni; e la conoscenza del cliente stesso, tramite strumenti finora più applicati all'online, ma con i quali l'offline deve acquisire rapidamente dimestichezza. «Avere il prodotto giusto al momento giusto e nel posto giusto è la chiave», ha sintetizzato Davalli.
Un cliente che sta cambiando i propri paradigmi non va mai perso di vista: «Lo si deve andare a cercare dov'è, fisicamente e non, sui social, su Whatsapp, nelle zone geografiche che frequenta. Sapere cosa desidera, che abitudini d'acquisto ha, la taglia, quanto compra a prezzo pieno e quanto in saldo, quali sono le loro preferenze». Metri quadri e collocazione geografica come parametri per valutare se una boutique può o meno avere successo non bastano più: elementi "esterni", come il social selling, entrano in scena.
Davalli ha auspicato infine una «urbanizzazione dei sistemi informatici»: che esista una pletora di app, ognuna destinata a un segmento, è controproducente. Occorrono segnali, metaforiche autostrade, incroci strategici: in sintesi, un'architettura informatica che supporti le aziende e i punti vendita.
Arcangelo D'Onofrio di Temera (società attiva dal 2009, che mette l'innovazione in ambito IoT al servizio delle realtà del fashion, del luxury e del retail) ha sottolineato di lavorare già da anni all'efficentamento della filiera, tornando sull'importanza del collegamento tra la fabbrica e il cliente finale e sulla gestione ottimizzata degli stock.
«Abbiamo messo a punto un tag che abilita alcune funzionalità partendo proprio da questi due temi - ha informato - con la consapevolezza che, in fondo, due cose sono rimaste inalterate, ossia il prodotto e il cliente. Il nostro tag "disintermedia" il prodotto, mettendolo in contatto con il cliente. In altri termini, attraverso il cellulare io sono in grado di avere informazioni sulla sostenibilità, la tracciabilità, i valori che questo prodotto rappresenta, dando parallelamente la possibilità al brand di conoscermi meglio, in un'ottica di interazione bidirezionale anche al di fuori del negozio».
«La pandemia - ha concluso D'Onofrio - sta riportando la filiera e il prodotto al centro, accelerando i processi di trasformazione. Direi che ormai si può parlare di vera urgenza digitale. Tuttavia, non sono pochi i marchi che manifestano una resistenza verso la tecnologia anche se non hanno alternative: devono seguire la strada già imboccata dai big, con la consapevolezza che spesso i fondatori dei marchi, non avendo la stessa età dei consumatori, a volte perdono la sintonia con loro. Per quanto ci riguarda, in Temera abbiamo istituito un "comitato di resilienza" che dà spazio ai giovani».
«I giovani professionisti e le aziende cresciuti in Italia sono le fondamenta di un sistema di innovazione», ha osservato Sondermann. E a proposito di urgenza digitale, ha fatto notare come Gucci, balzato in men che non si dica da 3 a 9 miliardi di fatturato, già da prima di questo exploit aveva capito il ruolo chiave del digitale, che già in tempi non sospetti fruttava alla griffe 300-400 milioni di euro.
Sciutto di Sergio Rossi si è riallacciato all'importanza di una visione fuori dagli schemi e anticipatrice del futuro, anche al di fuori del perimetro dell'online. «Per le aziende italiane - ha detto - questo dovrebbe essere il momento dell'aggregazione. Abbiamo tante piccole fabbriche sparse nelle nostre regioni, con capacità diverse ma complementari, che da sole non riescono a essere appetibili per gli investitori ma che insieme potrebbero diventarlo, insieme a un fondo aggregatore».