Metti una notte nelle strade polverose di New York, un sassofonista che suona sotto un lampione, qualche graffitaro in azione, sullo sfondo ancora qualche insegna che illumina a intermittenza il buio della città.
Virgil Abloh ambienta qui la sua seconda collezione per Louis Vuitton e rende omaggio a un idolo universale, un artista che con il suo talento ha trasformato non solo la scena musicale, ma anche l'approccio alla moda, con un guardaroba entrato nell'immaginario comune: Michael Jackson.
A questo ragazzo nato negli anni Cinquanta e cresciuto nelle umili periferie dell'Indiana, destinato a diventare il re del pop, è dedicata la sfilata, che ancora una volta sgombera il campo dalle certezze, per trasformare il tailoring maschile in una base di sperimentazione per introdurre idee nuove: vedi le lunghe "gonne" plissettate, asimmetriche e bicolori portate sopra i pantaloni ampi, o il gilet lunghissimo - ton sur ton - che spunta sotto il blazer con la martingala. O ancora le bandiere, a stelle e strisce ma non solo, trasformate in motivo decorativo per maglioni, trench, pellicce e borsoni.
I colori sono inizialmente rassicuranti: tutte le sfumature del grigio, il ghiaccio e il cammello. Ma poi la passerella vira progressivamente verso il rosso fragola, il viola, l'argento total block, per poi sfociare in tempeste di glitter spruzzati su camicie e bomber voluminosi e in collage variopinti di bandiere.
In primo piano gli accessori: marsupi a tracolla che fanno tutt'uno con il tessuto di maxi giubbotti dalla matrice military con tasche effetto 3D, ma anche zaini XXL, valigette, capienti bauletti monogrammati, gialli e fucsia.
La sfilata si chiude sulla musica di I wanna be starting something, incoronando un artista, dice Virgil Abloh, «anni luce avanti del suo tempo, il ragazzo che ha ispirato una rivoluzione culturale che ancora oggi riverbera».
a.t.