In programma i debutti di Ports 1961, Gilberto Calzolari e Vìen, il ritorno tra le presentazioni di Roberto Cavalli, Les Copains e Romeo Gigli e le passerelle co-ed, tra cui Moncler Genius, Agnona (all’esordio con l’uomo), Antonio Marras, Bottega Veneta, Missoni e Versace. E poi le celebrazioni per i 50 anni di Sportmax e i dieci di N°21. Motivo in più per puntare gli occhi sul palcoscenico milanese sono le performance dei talentuosi Millennials, da Alexandra Moura a Marco Rambaldi, da Act N.1 a Simona Marziali-MRZ e Flavia La Rocca, cui si aggiunge una selezione di brand da Budapest e dall’Africa presso il Fashion Hub di Camera Moda, al Museo della Permanente.
Cancellate invece le performance di otto emergenti cinesi, che saranno comunque connessi via web nell’hub di via Turati. Perché mai come in questo momento, spiega Capasa, Milano è “the place to be”.
«Un trampolino importante anche per noi esordienti, considerata l’attrazione che esercita su buyer e stampa», conferma lo stilista Marco Rambaldi, 29 anni, bolognese, in passerella alla Permanente la mattina del 19, col supporto di Cnmi. Fondamentale anche il sostegno dell’amministrazione comunale, che rimette a disposizione della fashion week spazi cittadini di prestigio per sfilate ed eventi (da cui sarà bandita la plastica) e un contributo alla campagna di comunicazione all'insegna di diversità e inclusione, con Stefano Guindani che immortala la modella Lea T.
«È apprezzabile lo sforzo di Milano sulle tematiche sociali e sul supporto ai giovani, con iniziative come il Fashion Trust - commenta Riccardo Grassi, talent scout e titolare dell’omonima showroom -. Quello che ancora manca al calendario è l’inserimento di un paio di nomi internazionali veramente forti, approfittando della debolezza di New York e Londra».
Ma il pensiero torna alla Cina: «Si parla di vendite in calo dell’80-90% al giorno - afferma Grassi -. Dobbiamo grande solidarietà e rispetto a quel popolo. che produce e investe nel mondo». Mario Boselli, come presidente dell’Istituto Italo Cinese, aggiunge: «Vergognosa la discriminazione e preoccupanti le mancate vendite. Molte aziende italiane e francesi esportano più del 30% in Cina, alcune arrivano a 40-45%. Senza dimenticare che i compratori cinesi risultano in cima alle classifiche delle vendite tax free qui da noi».
«Stiamo facendo di tutto per non fermare il business - interviene Wei Gong, imprenditore italo-cinese, a capo di una società di buying office -. Ci siamo attrezzati per fare riprese video nelle showroom milanesi e raccontare il prodotto nei dettagli, affinché i compratori in Cina possano fare le loro valutazioni. Speriamo di sconfiggere il virus e recuperare le perdite il più in fretta possibile. Nel frattempo diciamo stop ai pregiudizi».
Messe per un attimo in pausa le preoccupazioni, ci si interroga sulla tendenza che emergerà dalle passerelle, ma gli esperti puntualizzano: i trend sono un concetto superato, vince chi fa meglio se stesso.